la morte

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Gocce rosso sangue cadevano a ritmo continuo sul pavimento in legno straziato dagli anni, intonando sinfonie di macabro silenzio con l'urlo sottile del vento tra le porte sbattenti. Freddi fiocchi s'insinuavano tra le fessure del soffitto, creando un cumulo di dolce neve zuccherata a combinarsi con il caldo e vivo sangue. Ancora si espandeva, quella chiazza. Ancora scorreva, sembrava di sentire il suo scrosciare attraverso le scanalature del legno marcio. Un fiocco si posò sulle sue labbra, non si sciolse. Com'era fredda la morte, com'era crudele. Le pupille avevano preso possesso di tutto l'iride, facendo sembrare l'occhio dominato da una qualche specie di essere demoniaco; che si potesse alzare di scatto? Quasi si vedeva la pelle schiarirsi. I suoi capelli biondi si erano tinti di rosso come il resto, erano più scuri, senza vita, spenti. A questo somigliava un corpo senz'anima? Come si poteva vivere felici, sapendo a cosa ci saremmo ridotti? Una cosa così rapida come la morte, ci avrebbe tramutato in carcasse senza significato, involucri di carne senza storia. Era triste pensare a come la vita fosse labile, come la foglia d'autunno, accartocciabile, stracciabile. Non si può avere la certezza del futuro, se qualcuno per averla impone l'importanza della sua vita sulla tua. A quel punto sei solo un altro granello di sabbia nel vento, planando senza meta, verso ombre sconosciute. Perché, mio dio, ho paura di diventare così. Le mie guance saranno così pallide? Quale essere ci condanna dalla nascita ad una fine tanto atroce? Non desidero vedere le mie membra rifiutare il colore roseo, né i miei occhi oscurare il loro brillante verde, né sentire il fiume di sangue vivo seccarsi.
A cosa porta questa metamorfosi? Siamo condannati ad una sofferenza? Perché se ho paura della morte, forse ho più paura di quello che viene dopo. Ci sarà qualcuno a tranquillizzarmi, a calmare il mio violento respiro? O mi annullerò come se non fossi mai esistita? A cosa serve allora la vita? È una stupida illusione, che mai potrà realizzarci.

Questi involucri di carne custodiscono gelosamente il nostro patrimonio genetico che, interiorizza le nuove abilità e capacità che l'organismo riconosce come nuove. Se allora la nascita è evoluzione della specie, passo in avanti della vita, la morte è estinzione e conservazione delle tecniche evolutive. La morte è quindi estinzione di organismi che non sarebbero adatti a sopravvivere in un ambiente futuro. L'unico bisogno della natura è la conservazione, secondo le teorie dell'evoluzione darwiniana.
Ma la mia morte, non equivale, in definitiva, alla morte degli altri?
Alla morte di una persona cara, piangiamo, ma non la sua morte, la morte di noi stessi. Quando la facciamo nostra, diventa parte del nostro sistema nervoso e quando viene meno, piangiamo la perdita della sua presenza in noi, necessaria al nostro funzionamento armonico. il dolore "morale" è il dolore di un'amputazione senza anestesia.
Così ci portiamo nella tomba ciò che altri ci hanno dato, ma cosa gli abbiamo reso? Quasi sempre ci siamo limitati a trasmettere, da una generazione all'altra, l'esperienza accumulata.

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