Capitolo 3: Supernova baby

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Il cuore ha le sue ragioni

che la ragione non conosce.

(B. Pascal)


Altri giorni erano trascorsi, e se dopo la disastrosa tempesta di sabbia che aveva ucciso svariate decine di persone innocenti si poteva dire che, tutto sommato, i mortali fossero tornati alla normalità, lo stesso non valeva per gli angeli.

Il momento che Clelia aveva temuto era arrivato: a due settimane dalla sua conversazione con Raffaele, l'ovetto che proteggeva con tanta cura era diventato così grande che pensare di nasconderlo ancora tra le proprie piume era follia. L'unico modo per proteggere quella sfera, il cui diametro ormai superava i trenta centimetri, era tenerla avvolta in una delle proprie ali: e per quanto quella soluzione fosse fisicamente dolorosa – poteva essere praticamente invulnerabile, Clelia, ma neanche lei poteva tenere l'ala in costante tensione per giorni interi senza conseguenze – non aveva trovato una soluzione migliore.

In realtà, Clelia si sentiva in colpa. Ogni volta che scrutava guardinga i suoi compagni, i suoi fratelli, per essere certa di non scorgere in loro una minaccia al suo bambino, un profondo senso di vergogna le strisciava nelle viscere, soffocandola. Sapeva di essere ingiusta, nei suoi sospetti; ma la reazione di Stefano l'aveva turbata in un modo che non avrebbe mai creduto possibile. Per quanti timori avesse nutrito da quando si era resa conto di essere incinta del nuovo Maestro di Catene, non aveva mai davvero creduto che Stefano potesse rifiutare quel figlio: la sola idea le era inconcepibile, dunque quando la Guida si era rivoltata contro l'idea stessa dell'esistenza del piccolo angelo, e aveva proposto con tanta insistenza di ucciderlo prima ancora che vedesse la luce, Clelia ne era stata inorridita. Si era riscoperta fragile, fragile come non era stata neanche da umana; si era vista scivolare tra le dita la fiducia in se stessa e nel proprio ruolo come se la sua stessa falce fosse diventata sabbia nella sua stretta; e insieme a quella fiducia, aveva perso anche quella che aveva sempre nutrito nei confronti della sua famiglia. La sua logica impietosa le suggeriva che, se Stefano aveva potuto tradire le sue aspettative – lui che era la sua metà, la parte di sé che l'aveva resa di nuovo umana – allora perché non avrebbero dovuto farlo tutti gli altri che, per quanto leali e amati, le erano legati meno strettamente del suo compagno di vita?

La dolce sollecitudine di Luce era l'unica cosa in grado di risollevarle un po' il morale: la comprensione che stava mostrando per ogni suo aspetto – di regina, di amante ferita, di futura madre e di essere umano – era tale da rassicurarla almeno in parte, da farle sembrare meno doloroso il rifiuto di Stefano.

Proprio Luce la raggiunse e le cinse le spalle con un braccio, sorridendole complice.

«Come sta il piccoletto?» chiese allegra, accennando all'ala ripiegata in avanti di Clelia.

«Irrequieto» rispose Clelia, ed era la verità: da una settimana, l'uovo non faceva che vibrare costantemente e di tanto in tanto sobbalzava, colpendo il suo rifugio di piume, quasi che il piccolo racchiuso in quel ventre di nebbia si dimenasse senza sosta.

L'altra spalancò le ali e le usò per formare un semicerchio intorno a sé, poi tese le mani. «Dammelo: lo tengo per un po', se vuoi».

«Grazie» esalò riconoscente Clelia; prese la sfera con cautela e la passò a Luce, che la portò al riparo delle proprie ali.

«È cresciuto parecchio» notò, osservando bene l'uovo. «Deve aver raggiunto i quaranta centimetri di diametro».

«Quarantatré» precisò distratta Clelia mentre si massaggiava l'ala, preda di un doloroso crampo. Osservò sua sorella, che cullava l'uovo mormorandogli paroline dolci.

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