Non era bastato sbattere le lunghe ciglia dei miei occhioni verdi, non era bastato cercare di corrompere mio padre, non era bastato provare a far pena al giudice. Mi aveva guardata dall'alto del potere conferitogli da cinque anni di laurea in giurisprudenza (per cui un po' lo ammiravo: che coraggio), e aveva sbattuto il martelletto sul legno.
-Condanno l'imputata Joy Claire Styles a un anno di riformatorio. La sentenza è chiusa.-
Guardai con odio la toga scura di quello stronz... quel giudice, mentre spariva dietro una porta, cercando di fargliela andare a fuoco con la sola forza del pensiero. Ero in un bel casino.
-Complimenti, davvero.- Sputò acido mio padre, non guardandomi nemmeno.
-Grazie.- Scrollai le spalle, soffocando la tempesta di emozioni che mi stava per far scoppiare. Dovevo resistere ancora un po'. Lo seguii fuori dal tribunale e non mi fermai nemmeno ad ascoltare cosa ci diceva il generale Haymitch, mentre salivo in macchina.
Appena arrivata a casa, gettai dentro un borsone da palestra alcuni vestiti, la roba da bagno ed altre cose necessarie alla sopravvivenza. Sistemai un po' la mia stanza, in cui sembrava esplosa una bomba, e mi cambiai i vestiti eleganti e da brava ragazza che avevo messo per il tribunale sostituendoli con dei leggings neri e un maglione largo. Dopo di ché guardai per l'ultima volta il mio posto sicuro, la mia stanza, l'unico luogo in cui riuscivo ad essere in pace con me stessa, e chiusi la porta. Dovevo andare via, ma prima avevo una questione in sospeso da chiarire, e mi precipitai in camera di mio fratello.
-Giuro che appena torno vi ammazzo tutti.- Gridai a denti stretti, afferrando una sua scarpa dal pavimento e tirandogliela contro.
Harry Edward Styles, quel folle di mio fratello maggiore, stava dormendo tranquillamente nonostante sapesse che sua sorella stesse sotto processo per colpa sua. La scarpa planò violentemente contro i suoi ricci scuri, sbattendogli in testa. Si alzò a sedere, allucinato. -Ma sei pazza?-
-Vi troverò e vi ucciderò.- Gridai ancora, prendendo un'altra scarpa e colpendolo al petto.
-Ma cosa... oddio, il processo!- Scattò in piedi e mi afferrò per le spalle, respirando pesantemente. -Com'è andata?-
-Secondo te sarei così incazzata se fosse andato bene?- Urlai, mollandogli un ceffone sulla guancia. Per fortuna, ebbe il buon senso di incassare il colpo e rimanere in silenzio. Come scottata, mi liberai dalla sua presa e uscii dalla stanza, non riuscendo più a guardarlo in faccia. -Vado in riformatorio.-
-Joy mi dispiace così tanto...-
-Stai zitto! Non hai il diritto di parlarmi in questo modo.- Sibilai, afferrando la borsa e scendendo le scale. Arrivai sull'uscio della porta con le mani che pizzicavano dalla voglia di dargli talmente tanti schiaffi da smontarlo e rimontarlo al contrario.
-Hai fatto i nostri nomi?- Sussurrò: forse non voleva chiedere davvero, ma non aveva resistito. In tutta risposta sbattei la porta con violenza.
"No, non l'ho fatto, ma sarebbe stato meglio." Pensai.
Salii sull'auto dei carabinieri e osservai mio padre trattenere qualsiasi emozione stesse provando, SE ne stesse provando, guardandomi dal giardino. Nonostante tutta la rabbia che mi stava divorando il petto, sentii una fitta al cuore e mi morsi il labbro inferiore pur di non scoppiare a piangere.
Sarebbe stato un lungo anno.
Guardai il paesaggio sfrecciare davanti a me mentre ci allontanavamo dal centro di Toronto e ci lasciavamo alle spalle la periferia. Non fu un viaggio molto lungo: dopo appena un'ora in mezzo ai boschi canadesi, apparve un immenso cancello, circondato da alte mura con tanto di filo spinato. Entrammo nel cortile circolare, attorno al quale c'erano sei piccole costruzioni in legno, un grande capannone e un edificio imponente. Il generale Haymitch parcheggiò l'auto davanti all'ingresso della struttura più grande e mi fece segno di seguirlo all'interno. Si identificò all'ingresso e mi fece firmare dei documenti, dopo di ché camminammo per diversi corridoi, bianchi asettici, quasi fosse un ospedale.
-Aspettami qui, devo trovare il tuo fascicolo.- Disse e sparì in pochi secondi.
Mi sedetti su una sedia, guardandomi intorno. Tutti i soldati che passavano mi lanciavano occhiate torve e non proprio amichevoli, ma non mi sentii di fargliene una colpa: dopotutto in quel posto passavano i peggiori adolescenti. Lasciai cadere la borsa ai miei piedi e mi legai i capelli in una treccia veloce, rendendomi conto di quanto stessero diventando lunghi. Erano ingestibili, ma non li avrei tagliati: mi piacevano troppo. Mi strinsi nel parka nero che avevo indossato, cercando di proteggermi dagli spifferi gelati di quel posto, e mi sporsi verso una finestra per vedere il campo circostante. Essendo quasi sera, c'erano poche persone in giro, giusto tre o quattro ragazzi vestiti uguali. Non ebbi il tempo di guardare altro che il generale apparì con la stessa velocità con cui era scomparso.
-Non riesco a trovarlo, ma ora cerco in un altro archivio. Tu intanto vai a conoscere l'ufficiale Mendes.- Mi indicò una porta che prima non avevo notato dato che era dello stesso colore del muro e si confondeva con l'intonaco. Annuii e mi trascinai fin lì. Mi avevano parlato di questo ufficiale mentre eravamo in viaggio, presentandomelo come il responsabile del mio gruppo, nonché preparatore atletico e supervisore di (cito un certo caporale Phoens, un mezzo imbecille che ci aveva fatto da autista) "ogni mia losca mossa". Presi un gran respiro e bussai, preparandomi psicologicamente all'incontro con quello che ero sicura fosse l'ennesimo trentenne frustrato e con manie di grandezza che incontravo quel giorno, ma che, a differenza degli altri, mi avrebbe (sta volta cito testualmente il giudice) "rimessa in riga".
Non avendo risposta, bussai di nuovo. Questa volta udii uno sbuffo irritato da dentro la stanza e lo tradussi come un maleducato invito a entrare. Spalancai la porta e feci un passo avanti, guardandomi intorno. L'ufficio era mediamente ordinato, pieno di fogli, foto e... bende? Era sangue quello? Ma in che razza di posto ero capitata?
Scrutai il retro della sedia di pelle su cui l'ufficiale Mendes era seduto e continuava tranquillamente a darmi le spalle. Sentii l'irritazione farmi infiammare le guance e dovetti stritolare la maniglia della porta per trattenermi dall'urlare.
Si era almeno accorto che ero entrata? Od oltre ad essere frustrato era anche sordo?
Mi sporsi un po' in avanti cercando di vederlo, ma potevo cogliere solo un ciuffo di capelli scuri. Decisi che fare una scenata il mio primo giorno di riformatorio non era la miglior scelta che potessi prendere, così tossicchiai, mettendo più enfasi possibile. Per fortuna vidi una reazione: raddrizzò le spalle e fece girare la sedia con una lentezza tale che avrei potuto giurare lo stesse facendo apposta. Ma, dopo interminabili e irritanti secondi, finalmente potei guardarlo dritto negli occhi.
E forse sarebbe stato meglio non farlo.
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ATTENTION | S.M.
Fanfiction" -Come dicevo, abbiamo un metodo un po' particolare: ogni gruppo, sei in tutto contando che ci sono l'A1, l'A2, il B1, il B2, il C1 e il C2, sarà sottoposto ogni due settimane a un esame di conoscenze o a una prova fisica, ricevendo alla fine un pu...