Sulla finestra di un altro condominio

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ESTATE 1992

Era successo in un'estate degli anni novanta che Anita Poggi e Lorenzo Bontempi si erano incontrati.
Ancora non lo sapevano che presto sarebbe scoppiata la Guerra del Golfo. Non lo sapevano che in un marzo non lontano Maradona sarebbe stato trovato positivo al suo primo test antidoping.
La storia era attorno a loro, una, ancora da vivere insieme, invece, dentro ai loro occhi.
Alla Radio si parlava dell'attentato a Giovanni Falcone e Kurt Cobain ancora non immaginava che non molti anni dopo, si sarebbe sparato puntandosi una pistola alla testa.
Le facciate delle case popolari di Carrara in quel pomeriggio di luglio non davano alcun segno di vita, un ritaglio di verde confinato sotto il bordo della strada divideva le rette parallele di cemento. Poi c'erano i portoni di legno dalla vernice sbeccata, le finestre in fila una accanto all'altra e le persiane socchiuse sino a sera.

Dalle stanze in penombra usciva la sigla del Tg sulle televisioni accese, il tintinnio dei piatti che venivano accatastati uno sull'altro nei lavandini e il rumore delle sedie che strusciavano a terra mentre venivano riordinate attorno ai tavoli.
Le donne raggiungevano il fresco della pineta, invasavano le piante di Erba Miseria, leggevano riviste, si lamentavano dell'afa notturna e si scambiavano ricette per la cena. Gli anziani si mettevano a letto con le canottiere di cotone slabbrate, le ciabatte sul pavimento accanto al comodino e il ventilatore puntato sul viso sudato.
Anita si affacciava alla finestra ogni giorno a un quarto alle due.
Aspettava che Rosa finisse di ritirare i panni sul balcone del secondo piano, poi guardava il signor Rinaldi alzarsi dalla panchina davanti al portone, mettere il giornale sotto il braccio e imboccare la scalinata che portava ai palazzi della piana di sotto. Cinque minuti dopo Tommaso Nardini sbucava da dietro l'angolo, saliva sulla sua Cinquanta Special per andare al mare, con un asciugamano ripiegato lungo le spalle, il casco dentro lo zaino e una sigaretta stretta tra le labbra.

Solo dopo averlo visto mettere in moto e allontanarsi, Anita si decideva a uscire.
Scendeva le scale di corsa, buttava giù l'aria umida nell'androne con un lungo respiro e si avviava sulla strada.
Seguiva abitudini precise.
Sul suo quaderno era appuntata una lista ordinata di orari da rispettare, di luoghi da frequentare e di persone da evitare.
Sapeva che alle cinque del mattino il furgone dei giornali passava proprio sotto la sua finestra, che quando iniziava la scuola l'autobus delle sette e trenta era quello meno affollato e che alle quattro del pomeriggio nel parco giochi in fondo alla pineta i tossici si appartava tra i cespugli dietro lo scivolo arrugginito.
Sapeva anche che dopo cena i ragazzi della sua età stavano seduti sino a notte inoltrata sulla scalinata che scendeva verso la città e che, alle due del pomeriggio, nel bel mezzo di un luglio assolato, la strada di fronte ai condomini era deserta.

Percorreva il marciapiede, i riccioli biondi le ricadevano morbidi sul viso pallido, entrava nel piccolo garage al piano terra del civico 1, si sedeva sullo sgabello accanto al muro e restava immobile e in silenzio a osservare.
Don Andrea stava lì dentro un paio d'ore al giorno, senza la tunica nera sembrava solo un uomo intento a guadagnare due lire lavorando duramente.
Tra le vie strette del centro erano nascoste botteghe dove i turisti potevano acquistare piccole sculture di marmo, un tempo ne aveva avuta una anche lui, poi dopo aver perso la moglie si era iscritto al Seminario e il suo vecchio lavoro era diventato una passione da coltivare nel poco tempo libero.
Indossava una camicia a quadri sbottonata sul petto, i pantaloni impolverati due taglie più grandi strusciavano sotto le suole delle scarpe. Stringeva la subbia in una mano, il mazzuolo nell'altra e seguiva con i suoi piccoli occhi scuri i bordi del disegno abbozzati con una matita.

Colpiva con forza la linea incisa sul piccolo blocco, le schegge cadevano sul pavimento ricoperto di polvere bianca.
La serranda alzata faceva entrare un caldo insopportabile, di tanto in tanto sbatteva sotto la spinta del vento e la lamiera emetteva un suono metallico.
Anita osservava il piccolo modello di creta sul bancone, una figura di donna esile e delicata: la bocca incurvata in un sorriso e la mano appoggiata sul ginocchio trasmettevano adorazione, vero rispetto, amore. Poi tornava a
guardare il piccolo blocco di marmo ruvido e informe, si domandava come sarebbe riuscito Don Andrea a ricreare tutta quella bellezza sulla pietra dura.
Le piaceva stare lì, si riconosceva nelle sculture che vedeva nascere sotto i suoi occhi, con gli stessi bordi indefiniti, con i tratti del viso solo abbozzati. Si sentiva come un'immagine astratta che lentamente avrebbe preso forma. E poi era certa che se avesse toccato il marmo di fronte a lei, lo avrebbe sentito freddo come la sua pelle.

Aveva smesso di guardarsi allo specchio da un po' di tempo, aveva cominciato a odiarsi quando si era accorta che qualcosa nel suo aspetto era cambiata.
Le gambe erano diventate lunghe e sottili, la linea dei fianchi si era trasformata in una curva dolce che metteva in risalto la vita, la pelle pareva più morbida al tocco e le labbra più gonfie. C'era poi il dettaglio non trascurabile del piccolo seno arrotondato che le magliette larghe non riuscivano più a nascondere.
«Mi chiedo perché mai ti ostini a passare i tuoi pomeriggi qui.» Don Andrea passò il braccio sulla fronte sudata.
«Mi piace guardare i tuoi disegni diventare vivi» ribatté lei.
«La Biblioteca comunale ha aggiornato il catalogo, questa mattina hanno portato altri scatoloni per l'oratorio.» La fissò prima di puntare di nuovo la subbia sulla linea tracciata.
«Posso andare a vedere cosa è arrivato?».
Tra le abitudini appuntate sul quaderno di Anita c'era anche quella: riordinare la libreria dell'oratorio.

Le piaceva maneggiare volumi dalle pagine ingiallite, leggere le etichette adesive con scritto il nome del primo proprietario e chiedersi quante volte fossero passati di mano.
Don Andrea sfilò il mazzo di chiavi dalla tasca dei pantaloni e gliele porse.
«Ricordati di chiudere con due mandate, Bic!» le gridò quando la vide uscire di fretta, poi tornò a concentrarsi sul blocco di marmo di fronte ai suoi occhi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 25 ⏰

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