ESTATE 1992Carrara se ne stava incastrata ai piedi delle montagne, un viale dritto e trafficato la congiungeva alla costa.
Le Apuane sembravano giganti dal cuore bianco, le strade dalle curve ripide che portavano alle cave erano visibili anche da lontano.
Lorenzo Bontempi ogni giorno ci impiegava cinque minuti a raggiungere il mare. Attraversava a sessanta all'ora Piazza delle Nazioni Unite, parcheggiava il Fifty nero sotto la pineta e raggiungeva a piedi la spiaggia del porto.
Dove stava lui, alle case popolari, vivere a Marina di Carrara era il sogno di chiunque. Perché d'estate si riempiva di turisti che arrivavano da Milano, nello spiazzo della Fiera Marmo Macchine c'era il Luna Park e ci restava sino a fine di agosto. Poi al Pub Jonny Fox's potevi bere una birra senza che chiedessero la carta d'identità e nel pomeriggio ci si poteva appartare al fresco sulle panchine in pineta con qualche ragazza.Un mondo distante dalle serrande abbassate dei garage della via sotto il suo appartamento, dall'odore della spazzatura ammassata sotto i cassonetti e dalla muffa dentro i bagni.
Nei palazzi dai giardini curati dietro le spiagge ci stava gente che poteva permettersi una cena di pesce all'Universo, che entrava nei negozi e usciva sempre con un sacchetto appeso al polso. Gente che portava a lavare la macchina una volta alla settimana, per poi parcheggiarla nel viale di ghiaia davanti al cancello d'ingresso.
Lui invece, era cresciuto guardando sua madre che per pagare l'affitto al comune si spaccava la schiena pulendo le case degli altri.
Restava ore piegata sulle scale negli androni dei condomini, con quaranta gradi all'ombra d'estate e con le mani che congelavano dentro al secchio d'acqua quando strizzava lo straccio sporco d'inverno. A Lorenzo sembrava di morire un po' alla volta quando la sentiva piangere chiusa nella sua stanza.Pensava che prima o poi lo avrebbe trovato il modo di renderla felice di nuovo, come in quella foto che teneva sul comodino, con la mano sulla pancia grande e il sorriso timido di chi sta per diventare mamma troppo presto. Poi c'era suo padre, che stava fuori casa tutto il giorno e appena finito il turno restava chiuso dentro al bar a spendere i soldi che sarebbero serviti ad arrivare a fine mese.
Eppure, Lorenzo era sicuro ci fosse stato un momento nella sua famiglia in cui tutto era stato perfetto, ed era anche sicuro che le cose prima o poi sarebbero andate meglio.
Lo zaino scivolò giù dalla spalla, la maglietta bianca ricadde sui fianchi sopra al costume di una taglia più grande. Era di suo fratello, lo stesso lasciato a prendere polvere per anni dentro scatole di cartone.Lavato e stirato.
Impacchettato e piegato.
Insieme ai pantaloni fuori moda, alle maglie troppo larghe, alle felpe distrutte.
Andrea era stato il più fortunato tra i due, il primo in tutto.
Era nato quando sua madre e suo padre l'amore lo avevano ancora negli occhi.
Era stato il primo ad avere uno stereo, il primo a trovare una ragazza con la testa sulle spalle, il primo ad andarsene di casa sicuro di non tornare più.
Era stato il primo a ricordargli che pensare a se stessi è la regola da rispettare per sopravvivere al mondo.
Lorenzo si fermò sugli scogli del porto, la spiaggia libera era l'ultima in fondo, ricolma di asciugamani distesi e palloni lasciati sotto il sole, qualche ombrellone impiantato qua e là a disegnava ritagli d'ombra a terra.
Bambini impazienti correvano verso la riva con le schiene imbiancate di crema solare, le grida delle madri li rincorrevano sino all'orlo delle onde.
Lo sapevano tutti che quelli delle case popolari di Carrara nei pomeriggi d'estate si ritrovavano allo stabilimento del Porto.
Senza sdraio su cui stare una volta usciti dall'acqua. Senza i tavoli all'ombra al bar.
C'era una sola doccia accanto alle cabine, quelle con la vernice azzurra ormai mangiata dalle mareggiate invernali.Ci si dava appuntamento lì con la ragazza di turno, per baciarsi nascosti dietro anfratti umidi e bui, con la schiena appoggiata alle scritte a pennarello sulle tavole sbeccate.
Lorenzo cercò Francesco con gli occhi attenti e la fronte sudata. Francesco era suo cugino e tutti lo chiamavano Cisco.
Di solo un anno più grande di lui, viveva nell'appartamento un piano sopra il suo. Sul polso sinistro aveva la bozza di un tatuaggio, se lo era fatto con la punta di un ago rubato nella scatola del ricamo e una boccetta di china nera aperta sul tavolo. Aveva smesso di studiare a quattordici anni, suo padre era riuscito a farlo entrare alla segheria Graziani Marmi e lì, aveva imparato un mestiere.
"Lavorare o morire di fame" gli diceva sempre.
Lorenzo fermò lo sguardo su due spalle larghe che spuntavano dalla linea dritta del mare, Cisco con le braccia tese in aria stava sollevano per i fianchi Chiara.Saltò sulla sabbia e raggiunse la riva schivando gli asciugamani a terra.
«Ce ne hai messo ad arrivare.» Francesco uscì dall'acqua appena lo vide.
Chiara legò i capelli ancora umidi in una coda prima di sdraiarsi sulla sabbia, la luce accecante del sole scopriva il blu intenso degli occhi, gocce d'acqua salata scivolavano lungo le gambe appena piegate.
Lorenzo si domandava spesso perché vivesse alle case popolari. Aveva un motorino nuovo, ogni anno a febbraio partiva per la settimana bianca con i suoi genitori, era iscritta al terzo anno del Liceo Linguistico Montessori e non era mai stata rimandata in nessuna materia.
Alle case popolari ci stavano quelli che arrivavano a stento a fine mese, quelli che iniziavano a lavorare dopo la terza media.
Chiara non si vedeva molto in giro, passava di tanto in tanto sulle scalinate dove i ragazzi si radunavano sino a notte fonda, l'unica amica avesse mai avuto era Anita Poggi, e Lorenzo, di lei, sapeva poco o nulla.
STAI LEGGENDO
Resta con me. Almeno stanotte
RomanceSono cresciuti insieme Bic e Lorenzo. Nella periferia ai margini di una città sul mare. La raffineria sulla spiaggia e il vecchio cinema abbandonato i posti dentro cui incontrarsi. Per parlarsi, scambiarsi sogni. Si sono amati senza riuscire a dirse...