2.

119 14 19
                                    



La zona franca, a quell'ora, era piena di gente; solo quando superarono l'arco che la separava dal resto della città Zayd tirò un sospiro di sollievo.

Non era ancora maggiorenne, e al di fuori del quartiere che circondava il transplanetarium suo padre avrebbe potuto riportarlo indietro in qualsiasi momento, che lui lo volesse o no.

«La sospensione vale anche per me, vero?» domandò ad alta voce.

Sapeva che per chi commetteva delitti di quarto o terzo grado esisteva un diritto di asilo all'interno della zona franca, ma non si era mai interessato molto alla legislazione che lo regolava.

Quel giorno, poi, era successo tutto così in fretta...

Malika stava camminando leggermente avanti rispetto a lui, ma Zayd non se ne aveva a male: se lei fosse stata al suo fianco e avesse potuto guardarlo negli occhi, forse avrebbero pianto entrambi.

Infatti lei non si girò neppure per rispondergli, ma la sua voce era dolce, quando disse: «In teoria sì. Ma la tua fuga non ha molto a che fare con gli scopi di un porto, e tuo padre è un uomo importante. Molto importante.»

Quanto era brava a dire le cose che gli altri non volevano sentirsi dire.

Era difficile, per Zayd, considerare la sua come una fuga, dal momento che si era limitato a uscire dalla porta principale di casa con l'intenzione di non tornare per molto tempo.

Non c'erano stati litigi o inseguimenti, non era dovuto scappare, e probabilmente ancora per qualche ora i genitori e il personale non avrebbero visto nulla di strano nella sua assenza.

Riteneva di aver gestito la situazione nel migliore dei modi.

Quella mattina, quando si erano visti a tavola per la colazione, il padre aveva esordito con un: «Ora che hai preso la tua licenza, penso che sia il momento giusto per farti assumere un incarico all'interno della compagnia.»

Parlava sempre così, suo padre, con il tono solenne e lento di chi non è abituato a essere contraddetto, figuriamoci interrotto, e quindi può permettersi di impiegare molto tempo a scandire le parole e a sceglierle come se servissero per un comizio.

Zayd non aveva obiettato.

Aveva avuto la presenza di spirito di tacere, annuire e chiedere quale fosse l'incarico e quando avrebbe dovuto iniziare, perché era l'erede dell'Altawil corporation e ci si aspettava che si comportasse come tale.

Il padre per tutta risposta si era limitato a fargli l'occhiolino e a dirgli: «È una sorpresa, tempo al tempo. Inizierai la settimana prossima, dunque goditi gli ultimi giorni di vacanza.»

Peccato che i motivi che il padre riteneva degni di una strizzata d'occhio non coincidessero con quelli di Zayd, altrimenti lui stesso sarebbe stato entusiasta di quello che lo aspettava.

Dopo quella conversazione – se così si poteva chiamare – non aveva fatto altro che alzarsi, andare in camera sua e preparare una sacca sportiva, con dentro qualche cambio di vestiti, i documenti e tutti i suoi risparmi.

In cima a tutto aveva messo un traduttore simultaneo e un modulatore di atmosfera in cui a suo tempo aveva investito tutti i suoi risparmi. Forse non disponevano di tutti gli aggiornamenti in commercio, ma per lui sarebbero stati più che sufficienti.

Aveva sistemato la borsa su una sedia e l'aveva osservata a lungo, seduto sul bordo del letto con i gomiti sulle ginocchia, cercando di decidere se quello sarebbe stato davvero il giorno in cui se ne sarebbe andato.

Sapeva per esperienza che, se anche avesse spiegato le proprie ragioni, i suoi desideri sarebbero stati tenuti in scarsa considerazione. Fare resistenza non avrebbe portato ad altro che a mettere suo padre in allarme.

Avrebbe potuto aspettare i quattro mesi che lo avrebbero reso maggiorenne e nel pieno possesso dei suoi diritti, ma per allora avrebbe avuto un posto all'interno della compagnia, delle responsabilità che non poteva ignorare... Il senso di colpa avrebbe sicuramente prevalso.

Se avesse continuato a rimandare non sarebbe mai partito.

A quel punto si era deciso a prendere il bagaglio, se l'era fatto scivolare sulla spalla e aveva guardato un'ultima volta la stanza, soffermandosi sulle teche pieni di biglietti di viaggio, sale da ballo e foto che lo ritraevano con i suoi amici o con Malika.

Dopo un attimo di esitazione, era tornato indietro e aveva staccato una fotografia in cui lei guardava l'obiettivo e lui le dava un bacio sulla tempia, con Nuova Ambria sullo sfondo, come si vedeva dalla Torre d'Onice.

L'aveva messa nella tasca interna del giubbotto da aerociclo con il quale viaggiava sempre e si era incamminato.

Era sceso nel salone principale con il passo agile di chi si sente a casa e conosce il senso ultimo di tutto ciò che lo circonda, salutando chiunque incontrasse con la spigliatezza di sempre, o così almeno gli era sembrato.

Aveva raggiunto sua madre in giardino, perché a quell'ora del mattino si poteva star certi che Karima Altawil sarebbe stata lì, a prendersi cura delle sue infinite varietà di palme, adenium e orchidee.

Si era preso un secondo per osservare la sua testa di ricci castani china su un'aiuola e la curva della sua guancia. Aveva l'espressione serena di sempre, quella che quando credeva di non essere osservata le fioriva sul viso senza essere trattenuta.

A quel punto l'aveva abbracciata e le aveva mormorato che stava andando a trovare Malika in città.

Se lei si era sorpresa nel vedersi salutare con più trasporto del solito, non lo aveva dato a vedere.

Era venuto a sapere da uno dei domestici che il signor Imir, suo padre, era già uscito per il primo giro di controllo allo stabilimento.

Si era sentito straordinariamente triste, all'idea, e la sua malinconia era stata accompagnata da un senso di straniamento che ancora non se n'era andato.

Il fatto di non poterlo salutare aveva reso tutto più reale.

Cercando di mettere da parte quei pensieri, e risolvendosi a inviargli un messaggio di scuse e spiegazioni non appena fosse partito, era uscito in cortile e si era diretto al garage della tenuta.

Il sander del padrone di casa – un mostro ultimo modello che si sollevava da terra con un comando vocale e accelerava tranquillamente fino a quattrocentocinquanta chiloleghe in dieci secondi – lo aveva scrutato severo dall'ombra, e per un attimo Zayd si era sentito come se suo padre potesse vedere ogni suo movimento.

Chinando il capo, aveva messo in moto il suo aerociclo rosso e se n'era andato, lasciando aperta la porta della rimessa perché in fondo era quello che faceva sempre.

Si immaginò i genitori scuotere il capo quando se ne fossero accorti, pensando a quello come a un giorno qualunque, mentre lui pensava a salire sulla prima nave e a far rotta verso mondi che non aveva mai visto, all'insaputa di tutti.

Di tutti i pensieri, era stato quello a stringergli la gola in una morsa.

Deglutendo a fatica, era uscito dal parco e aveva accelerato sulla strada maestra, senza voltarsi indietro.

E adesso... Adesso era in Piazza Eroi dei Tre Mondi, l'ampio slargo che segnava l'inizio del quartiere del cosmoporto, a osservare l'andirivieni affaccendato della zona franca, con nelle orecchie la vibrazione sottile delle navi in partenza.

Aveva Malika al suo fianco, i documenti in tasca e l'augurio di non aver commesso un errore sulle labbra, come una preghiera.








N.d.A.: Scusate, so di averci messo una vita e mezza.

L'unica cosa chiara fino a questo punto è che, quando avrò finito, questa storia avrà bisogno di una profonda revisione.

Alma MaterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora