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Malika si fermò di fronte all'edificio principale del transplanetarium ed esitò.

«Sei sicuro di non voler semplicemente andare all'estero? Potresti andare nella Confederazione dell'Ulther, è una vita che vuoi visitarla... Oppure in Suzena, in qualche città come Loti, oppure...»

Zayd sorrise mesto. Malika non straparlava. Mai. Doveva essere davvero angosciata ed era colpa sua.

«Amore, non posso rimanere su Giava» le aveva già spiegato il perché, ma era smarrita e lui l'aveva informata dei suoi progetti soltanto un'ora prima «Se mio padre mi viene a cercare – e mi verrà a cercare, e mi troverà – io dovrò tornare qui, perché non sono ancora maggiorenne.»

Guardò la sagoma imponente del cosmoporto.

Ormai era buio, i pannelli di vetrofumo dell'edificio erano illuminati solo dalle luci fredde dello slargo; qualunque attività lo animasse all'interno non dava tracce di sé sulla facciata.

Non sembrava un luogo dal quale si partiva, piuttosto un luogo nel quale era contenuto un segreto.

«Mi dispiace» aggiunse il ragazzo, all'improvviso. Quel giorno lo aveva già detto molte volte.

Malika gli si avvicinò e finalmente lo guardò in viso. Aveva gli occhi lucidi, ma scosse la testa «Non dire che ti dispiace. Sarai felice di averlo fatto, e io...» sembrò pensarci su «vorrei avere il tuo stesso coraggio.»

«Non è coraggio, è incoscienza» replicò Zayd, sorridendole. Poi tornò serio «Sei sempre in tempo, sai? E dopo la prima licenza puoi prenderne una seconda.»

Osservò il profilo netto di lei contro le luci intense dei terminali.

Malika studiava ingegneria aerospaziale, il suo percorso di studi si era focalizzato sulle navi e tutto quello che le riguardava a partire dalla prima aula, quando nessuno dei loro amici ancora sapeva che cosa avrebbe fatto della propria vita.

L'anno prima, tuttavia, quando anche per lei si era trattato di scegliere i corsi per la licenza, era stata tentata di scegliere astroingegneria.

L'ingegneria astrale, però, aveva la fama di essere l'approdo naturale dei teorici e la culla di speculazioni senza nessuna applicazione pratica, mentre un ingegnere aerospaziale era la figura giusta per ereditare l'impero della famiglia Harun. Malika era la primogenita della sua generazione ed era, senza dubbio, la più dotata.

Dunque aveva stretto i denti e scelto quello che ci si aspettava da lei, senza fiatare e senza maledire la sorte, senza neppure fare menzione al padre e allo zio di quali fossero le sue reali speranze.

Quella ragazza sosteneva ogni decisione che prendeva con grazia, a testa alta.

Non rinfacciava a nessuno le sue scelte, anche quando le faceva per non deludere gli altri.

Zayd sapeva che prendersi la responsabilità delle sue azioni – che appartenevano a lei e solo a lei, insisteva – per quella forza della natura che era Malika Harun si trattava di un punto d'orgoglio; ammirevole, certo, ma non il terreno ideale per una vita senza rimpianti.

«Tu comunque pensaci. Nessuno si merita più di te di fare quello che ami.»

Malika si asciugò qualche lacrima fuggitiva con una manica, facendo una risata umida: «Adesso stiamo parlando di te. Sono contenta, tu... Anche se ora mi vedi così, tu non voltarti indietro.»

Di slancio, lo baciò.

Rimasero così, l'uno nelle braccia dell'altra, fino a che il ronzio lieve di una nave in partenza non li riscosse.

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