4. La bambina, il cavaliere e il soldato

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  "Callie, alzati. Devi andare a scuola!" la svegliò John dolcemente, scuotendola per le spalle un pochino, facendole aprire gli occhi.
Si mise a sedere e sbadigliò sonoramente, mentre i suoi corti capelli castani erano "sparati" in varie direzione come i cartelli che vide la piccola Alice nel Mondo delle Meraviglie.
"Perché devo andare a scuola?" chiese la piccola di getto, mentre le sue palpebre erano in procinto di richiudersi come due saracinesche.
"Perché imparerai cose nuove" rispose il biondo sorridendole, scompigliandole ancor di più il groviglio in testa.
"Perché?" domandò ancora quella, guardandolo come stralunata.
"Perché..."- cominciò lui prendendola in braccio come un sacco di patate, scatenandole una risata giocosa- "Ti farai una tua opinione del mondo in cui vivi e per affrontare le difficoltà al meglio".
E con quella frase la zittì, facendola rinchiudere nei suoi pensieri per cercare un senso a quella frase.
Per certi aspetti assomigliava moltissimo a Sherlock.


Come se richiamato da una qualche riflessione oscura, il protagonista della mente di John in quel momento entrò nella cucina un po'disordinata, facendo voltare entrambi.
"John, ho risolto il caso!" esclamò entusiasta il consulente investigativo, mentre l'altro smise di versare il latte caldo nella tazza personalizzata della bimba, rivolgendogli un'occhiata torva.
"Va bene, Sherlock, ma non mi sembra il momento. Callie oggi inizia la scuola, ricordi? E poi avevamo fatto un accordo: niente casi con la bambina presente!" ribatté il medico tentando di stare calmo.
Quella bambina, nei suoi da poco compiuti tre anni aveva sentito parlare di così tanti morti che, un bel giorno, vedendo entrare Lestrade trafelato, domandò con spontaneità : "Chi è morto, oggi?".
Andò a finire che Sherlock si guadagnò un bel destro sul naso per aver sorriso e approvato il comportamento della figlia; a Callie fu vietata la presenza ad ascoltare le scene del crimine (anche se il divieto fu imposto a Lestrade ed alla sua squadra finché la piccola, in quelle situazioni, non fosse stata affidata a Mrs. Hudson o spostata in un'altra stanza) e John... beh, Watson non fu mai così arrabbiato come quel giorno.
"Scuola? John, è un asilo! Un posto dove non insegnano nien..."
"Sherlock! È una scuola. E Callie oggi imparerà tante cose nuove e farà conoscenza con altri bambini! E... ma che cos'hai in mano?" lo rimbrottò l'ex soldato, dirigendosi verso il riccioluto, il quale alzò gli occhi al cielo per la questione sull'asilo, ma gli s'illuminò il volto non appena gli fu posta quella domanda:
"I bulbi oculari della vittima. Sono la prova che incastrerà l'assassino" rispose per nulla preoccupato della presenza di Callie.
"Che cosa sono i bulbi oculari?" domandò la piccola scendendo dalla seggiola con non poca fatica, dirigendosi verso il padre per poter osservare meglio l'oggetto di così tanto interesse.
"Sono gli occhi, Callie..."- rispose senza pensarci John, ma si "risvegliò" subito- "Finisci di fare colazione e fila subito a cambiarti, signorina! Sherlock, metti via quei dannatissimi occhi!".
"Bulbi oculari" terminò con precisione il riccioluto, osservando di sottecchi la figlioletta ingozzarsi con i suoi biscotti preferiti.
"Sherlock!".


"Devo per forza andare a scuola? Perché non posso restare con voi?" domandò la piccola alzando le braccia per farsi infilare il maglioncino grigio della divisa, mentre Sherlock sospirò pesantemente e cercò una risposta più che mai eloquente e sì, per metà menzogna.
O almeno per lui.
A lui non era mai piaciuto andare a scuola.
Studiare sì, ma solo le materie che gli interessavano di più (difatti, non sapeva nemmeno che la Terra girasse attorno al Sole, anche se era una cosa "elementare" per gli altri umani) e poi non aveva mai avuto amici.
In fin dei conti, poteva capire come si sentiva la piccola.
John, però, era stato chiaro: doveva crescere come tutti gli altri bambini e non con pranzi saltuari, delle volte (meno male che c'erano Mrs. Hudson o Molly), e a crimini.
E quindi... quindi nulla, era stato costretto a comprarle persino qualcosa di fanciullesco come una Barbie e un piccolo robot chiamato Transformer o qualsiasi cosa fosse.
"Chissà che fine hanno fatto. Non l'ho più vista giocarci" pensò facendo vagare lo sguardo per la camera, ma venne richiamata dalla bimba.
"Papà, non hai risposto!" esclamò stizzita, prendendo il piccolo zainetto poggiato a fianco del letto.
"Perché hai fatto due domande dalla risposta ovvia"- ribatté per nulla toccato, accorgendosi successivamente che era stato un po'brusco nel dirlo- "Come ha detto John, imparerai tante cose nuove e... ti farai degli... amici... e poi dobbiamo anche lavorare ad un caso importante, Callie".
Lei s'imbronciò un poco, dirigendosi a passo lento verso le scale, ma Sherlock fermò la sua avanzata:
"Considera il lato positivo: stasera staremo tutti insieme e andremo a mangiare da Angelo. Che ne dici?".
Quella si voltò e corse ad abbracciarlo, lasciandolo sorpreso, non ancora abituato ai quei gesti così... pieni di affetto.
Ad essere sinceri, la trattava ancora con un po' di freddezza, mancandole di rispetto, delle volte, ma lei sembrava non farci caso e le andava bene così.
L'importante è che ci fosse sempre stato, in un modo o nell'altro, anche se ultimamente continuava a fare domande sui rispettivi lavori dei due ragazzi, sul perché a volte stavano via per tantissimo tempo lasciandola con Mrs. Hudson e le sue amiche pettegole non mancando persino di porgere domande alquanto imbarazzanti, a cui Sherlock avrebbe risposto senza peli sulla lingua e in modo scientifico se non ci fosse stato sempre John a fermarlo appena in tempo prima di procurare un qualche trauma psicologico.

La figlia di SherlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora