2. Consapevolezze

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Dopo quasi un mese erano riusciti a catturare l'assassino di poliziotti che aveva terrorizzato Londra, mettendo Scotland Yard nella più completa confusione.
Sette agenti morti e uno ferito gravemente "attraverso" la stessa procedura a distanza di tempo differente, ma alla medesima ora, preciso come un orologio svizzero.
L'uomo, di non più di trent'anni, attendeva il giro di ronda serale degli agenti, per poi sparagli un colpo di pistola alla testa, con il movente di volersi vendicare del fratello ucciso da loro a causa della sua resistenza all'arresto per traffico di droga e prostitute.

"Un vero idiota. Noioso."

Questo era il pensiero di Sherlock alla conclusione del caso ma, doveva ammettere, che la stupidità di quell'uomo era riuscito ad intrigarlo.
Non per il fatto di non aver capito la sua identità in poco tempo; per quello ci era voluto meno di una settimana, ma per il fatto di non riuscire ad incastrarlo e a mandarlo in galera.
Nonostante alcune prove schiaccianti sulla sua colpevolezza, l'assassino di poliziotti riusciva a trovare uno svincolo per restare in libertà e sfuggire dalle grinfie del giudice.
Il tutto sotto tantissimi articoli di giornale derisori dell'inefficienza di Scotland Yard e della debolezza dei suoi uomini che venivano uccisi senza riuscire a difendersi.
D'altronde, però, Scotland Yard aveva il miglior consulente investigativo che l'intera Inghilterra potesse offrirgli e, con tanta pazienza e divertimento da parte del riccioluto, si era messo fine a quel gioco così meschino e pieno di sangue.

Alla fine, forse, non era stato così noioso... anche se John poteva benissimo evitare di pestare a sangue l'assassino, tumefacendogli il volto a suon di pugni solamente perché si era preso gioco di loro e perché tra gli agenti uccisi c'era anche una ragazza.

"Troppo emotivo, ma interessante".

A quel suo commento mentale sorrise un poco, attirando l'attenzione del suo amico.

"Perché sorridi?" gli chiese l'ex-soldato con cipiglio perplesso, aggrottando le sopracciglia in maniera deliziosa.
Sherlock fece spallucce e s'infilò le mani guantate nelle tasche del suo cappotto, continuando a camminare assieme all'altro per la via antistante al 221B, sentendo il freddo pungente, ma piacevole, di una notte tipica di aprile penetrargli attraverso i vestiti, facendogli salire un brivido impercettibile, che John nemmeno notò.

"Niente, tranquillo. Pensavo a Callie" disse pacato, facendo ghignare John.
"No, non è vero. Non sei ancora emotivamente coinvolto da lei. Certe volte la guardi come se fosse un alieno!" lo smentì subito, facendo scuotere la testa al riccioluto.
"Lo sai come sono. I sentimenti sono inutili e, se io mi abbandonassi ad essi, non riuscirei mai più a svolgere il mio lavoro con lucidità. Io potrò provare rispetto per la bambina, ma mai amore paterno. Non posso farlo" spiegò con freddezza esasperante, sorprendendo l'altro.

Sapeva che Sherlock era fatto così e, certe volte, sembrava non gl'importasse nemmeno di lui, dopo tante avventure passate insieme e gli faceva male.
Dannatamente male.
Era come se mille aghi gli trafiggessero il cuore e, anche se sottili, erano come violente coltellate che laceravano il suo animo già ricucito dagli orrori della guerra grazie alla sua forza di volontà e all'aiuto che Sherlock, a suo modo, gli aveva dato... ma allo stesso tempo, il riccioluto lo sfilacciava, come Penelope con la sua tela, attendendo il ritorno del suo amato marito, Odisseo.
Certe volte lo considerava un dolore troppo insopportabile, come un grosso macigno che non riusciva a spostare.
E, nonostante tutto, lo perdonava e lo avrebbe sempre perdonato: forse ci avrebbe messo anni, ma lo avrebbe fatto.
Glielo concedeva, ma non nei confronti di Callie.
Ammetteva a se stesso di aver avuto paura di lei, all'inizio, ma poi le si era affezionato, considerandola quasi sua figlia.
Sherlock, invece, non era minimamente cambiato e cercava di ridurre al minimo indispensabile i contatti con lei, facendola intristire.
Era una bambina intelligente e John aveva notato che quando giocava con lui o Mrs. Hudson, sorrideva e rideva, ma un'ombra negli occhi non la rasserenava, sentendo la mancanza di una figura paterna e materna...

La figlia di SherlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora