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Sono sempre stata una bambina solitaria.

Non ne ho mai capito il motivo.

Mia madre, che mi aveva cresciuta da sola, cercava di consolarmi.

<<Non buttarti giù, Enjel. Sei solo troppo intelligente per loro>> mi diceva ogni mattina mentre spazzolava i miei lunghi capelli dorati.

Avevo solo dieci anni, ma la solitudine mi faceva stare male.

L’unica persona che conoscevo relativamente, oltre a mia madre, era un uomo anziano, dall’aria pacifica.

Ogni volta che chiedevo a mia madre chi fosse quell’uomo, lei mi rispondeva che era colui che si sarebbe preso cura di me se le fosse successo qualcosa.

Sentivo quell’uomo lodare le mie capacità deduttive davanti a mia madre.

Infatti ogni volta che veniva a farci visita mi lasciava un caso da risolvere per tenermi impegnata mentre loro parlavano.

Per quel che ne sapevo, non sbagliavo mai.

Poi arrivò quel giorno.

Quel giorno in cui mia madre morì in un incidente stradale.

Subito si presentò a casa quell’uomo.

<<Ciao, Enjel. Mi dispiace per tua madre>> mi disse accarezzandomi i capelli.

<<Non mi sono mai presentato, scusami. Io sono Watari>>.

Resto seduta sul divano con le ginocchia al petto.

<<So che sarebbe un grande cambiamento e non è il momento migliore per chiedertelo, ma vorrei proporti di venire a Winchester, nell’istituto di cui ti parlava tua madre>>

<<Qui non ho più nulla.

Non ho amici, non ho una famiglia.

Accetto>>

<<Domani mattina alle nove ti verrò a prendere. Preparati>> mi disse, poi se ne andò, lasciandomi sola con il mio dolore.

Andai in camera mia, e tirai fuori la valigia da sotto il letto.

Vi buttai alla rinfusa vestiti pesanti, biancheria, spazzolino da denti, spazzola, elastici per capelli e pochi indumenti estivi, poi provai a dormire.

Le otto e mezza arrivarono in fretta.

Mi preparai e aspettai Watari fuori di casa.

Arrivò puntualissimo, e andammo all'aeroporto.

Alle dieci e mezzo il nostro volo partì.

<<Come te la cavi con l’inglese?>> mi chiese a un certo punto

<<La scuola che frequentavo era molto piccola, non veniva insegnato l’inglese>> risposi con sincerità.

Durante il volo mi insegnò come presentarmi, come salutare e congedarmi e altre piccole cose di lessico, a cui, sinceramente, non prestai molta attenzione.

L'aereo atterrò circa due ore dopo, e c’era un taxi ad aspettarci.

Ero totalmente spaesata.

Quando varcammo il cancello di ferro nero dell’istituto, mi accorsi di quanto fosse grande.

Watari mi spiegò dove si trovavano tutte le stanze, poi mi accompagnò davanti alla mia stanza.

<<Per qualunque cosa rivolgiti a Roger, in presidenza>> mi disse accarezzandomi la testa.

Entrai nella stanza, e fui sorpresa di vedere quanto era grande.

Nulla a che vedere con la mia vecchia cameretta.

Vidi che c’era un solo letto, posizionato addosso alla parete alla sinistra della porta, accanto a un comodino di quello che sembra mogano.

Di fronte al letto c’era un grosso armadio a tre ante, che sembrava fatto anche quello di mogano, e accanto ad esso c’era la porta del bagno.

C’era anche un’enorme portafinestra, che conduceva a una piccola terrazza.

Guardai l’orologio.

A quanto mi aveva detto Watari, il pranzo non sarebbe stato servito prima dell’una, così mi cambiai e mi preparai ad incontrare gli altri ragazzi che vivevano lì.

Indossai una semplice maglia nera, un paio di jeans blu e le mie scarpe da ginnastica bianche, poi sistemai i grani bianchi e rossi della coroncina del rosario che indossavo a mo’ di collana sotto la maglietta.

Fu un regalo della comunione, da parte dell’unica bambina, in seguito trasferitasi, a cui sembravo piacere.

Mi guardai allo specchio.

Mi ero resa conto da tempo di essere bassina per la mia età, ma non mi interessava.

Il mio punto di forza erano i miei grandi occhi blu, di cui ero sempre andata fiera.

Uscii dalla stanza, e cominciai a girare per i corridoi.

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Angolo autrice

Pubblico tutti i capitoli di fila, così non ci penso più, sciau

The Fourth Heir [COMPLETATA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora