Non vidi quasi nessuno, a parte due bambini.
Uno aveva i capelli castani disordinati e gli occhi azzurri, indossava una maglietta a strisce orizzontali rosse e nere, un paio di jeans neri e aveva un paio di occhiali, credo da protezione, sulla testa.
Stava giocando a un videogioco mentre chiacchierava con l’altro.
Il secondo bambino aveva i capelli dorati, leggermente più scuri dei miei, a caschetto, gli occhi azzurri come i miei, vestiva totalmente di nero, senza però indossare le scarpe, e stava mangiando una tavoletta di cioccolato.
Tutti e due sembrano avere la mia stessa età.
<<H-hi, my name is Enjel>> mi presentai balbettando.
Il biondo alzò la testa e mi squadrò da capo a piedi, poi disse qualcosa che non riuscii a capire al castano e si avvicinò a me.
<<Non conosci né capisci una parola d’inglese, vero?>> mi disse in tedesco.
<<C-come hai fatto a capirlo?>> gli chiesi sbalordita.
<<Oltre a parlare con un forte accento tedesco, hai sbagliato tutte le pronunce>> mi rispose con un mezzo sorriso.
Mi sorse spontanea una domanda.
<<Come fai a parlare il tedesco così bene?>>
<<Sono nato in Germania, anche se vivo qui da quando avevo circa cinque anni>>
<<Capisco… in ogni caso, qual è il tuo nome?>>
<<Il mio nome?
Sarebbe bello ricordarselo.
Tutti noi siamo ragazzi senza un nome, senza un volto.
La nostra esistenza è stata dimenticata o non è mai stata scoperta.
Le nostre identità sono state cancellate, a parte una singola lettera che distingue gli uni dagli altri.
Tutti noi non siamo che semplici lettere dell’alfabeto, o soprannomi di quattro o cinque lettere.
Proveniamo da tutto il mondo, un mondo che ci ha dimenticati o che non ci ha mai voluto, per aiutare questo stesso mondo.
Siamo tutti orfani senza una famiglia o creature innocenti abbandonate solo perché esistono.
Hai capito, Enjel?
No, meglio che cominci ad abituarti ad essere chiamata con una singola lettera.
Tutto chiaro, E?>>.
Le sue parole mi toccarono nel profondo.
<<Allora, qual è la tua lettera?>>.
Ridacchiò.
<<Scusa, ho esagerato. Mi chiamo Mihael, anche se qui tutti mi chiamano Mello>> mi disse tendendomi la mano.
<<Però non stavo scherzando sul fatto che qui verrai chiamata con una sola lettera>>.
Gli strinsi la mano.
<<Piacere di conoscerti, Mello>>
<<Nah, se vuoi puoi chiamarmi per nome, mi ispiri fiducia. Nessuno fa caso a me, pensano tutti a Near>> disse indicando con la testa un ragazzino con i capelli bianchi.
<<Senti, dato che qui dentro sono l’unico che riesce a capirti, ti andrebbe se ti insegnassi l’inglese?>>
<<Volentieri>>.
<<Un’ultima domanda>> aggiunsi
<<Posso chiederti quanti anni hai?>>
<<Dieci, tu?>>
<<Anch'io>>.
Guardò il mio orologio da polso.
<<Scusami un attimo>> mi disse, poi andò dall’altro bambino e gli disse qualcosa.
Incuriosita, guardai anch’io l'orologio.
Era l’una meno dieci.
Mello tornò da me, portandosi dietro anche l’altro bambino, che scoprii chiamarsi Matt, poi andammo a pranzo.
Già durante il pranzo cominciò a insegnarmi alcune cose, e io lo ascoltavo attentamente, affascinata dal suo modo di parlare disinvolto e dalle sue capacità di insegnante.
Ci eravamo conosciuti da meno di un'ora ma mi parlava come se mi conoscesse da sempre.
Era riuscito a far svanire in me il disagio nato dal fatto di essere tra le pochissime bambine presenti nell’istituto.
Possibile che avessi trovato quella persona chiamata «amico»?
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Angolo autrice
E anche il secondo capitolo è andato.
Ne mancano un paio.
Sciau
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The Fourth Heir [COMPLETATA]
Short Story"Il mio nome? Sarebbe bello ricordarselo. Tutti noi siamo ragazzi senza un nome, senza un volto. La nostra esistenza è stata dimenticata o non è mai stata scoperta. Le nostre identità sono state cancellate, a parte una singola lettera che distingue...