"Corri"

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Quel mattino mi svegliai con una strana ansia che mi attanagliava lo stomaco. Mi girai e rigirai nel letto, affondai la faccia nel cuscino e sbuffai, aspettando il fastidioso suono della sveglia. Mi svegliavo sempre poco prima che suonasse, ultimamente, il che mi infastidiva, e non poco.
Finalmente suonò, la spensi con un gesto secco, borbottai:-sta' zitto, inutile oggetto-, e mi alzai. Mi vestii e lavai i denti, prendendomi il giusto tempo per perdermi fra i miei pensieri. Non mi fermai a fare colazione, avrei preso qualcosa al bar. Mi infilai le scarpe e afferrai lo zaino, era troppo caldo per il giubbotto e troppo freddo per una maglietta, così mi infilai la prima felpa che trovai e, zaino in spalla, uscii di casa.
Arrivai alla fermata dell'autobus senza rendermene conto, perché persa nel mondo dietro i miei occhi, nella mia mente. L'autobus arrivò dopo pochi minuti, m'infilai le cuffie alle orecchie e feci partire la musica, ma subito mi accorsi che la cuffia sinistra faceva un rumore strano. Cercai di non farci caso ma, ovviamente, dopo poco sentii un piccolo "pop" nel mio orecchio sinistro e poi più niente, mentre la cuffia destra funzionava benissimo. Sbuffai e me le tolsi con un gesto secco, irritata.
Ero molto superstiziosa e una delle mie convinzioni più forti era: "se quando esci di casa la mattina ti si rompono le cuffie allora, puoi giurarci, avrai una giornata pesante da affrontare". Non mi ero mai sbagliata, così presi il libro e cominciai a ripassare economia, sicura che mi avrebbe interrogata o che ci sarebbe stato un compito a sorpresa.
Quando scesi dal l'autobus mi ricordai, con orrore, di aver lasciato il libro di fisica sopra la scrivania, a casa. Sospirai, arrendendomi alla giornata che mi aspettava, e andai a comprare una pasta al bar, poi entrai a scuola e cercai di pensare positivo. Impossibile.

Uscii dall'edificio distrutta, nervosa e affamata. Come previsto, c'era stato un compito a sorpresa e mi ero dovuta sorbire un quarto d'ora di ramanzina su quanto fossi "immatura", "inaffidabile", "irresponsabile" e altri termini negativi solo perché non avevo portato il libro di fisica. Che bello il liceo.
Mi sedetti su una panchina di un parco lì vicino, affranta dall'ennesima brutta notizia: per tornare a casa prendevo il treno, perché autobus non ce n'erano dopo mezzogiorno, ma quel giorno c'era lo sciopero dei treni e già due di quelli che avrei potuto prendere erano soppressi. Inoltre, tutte le mie compagne vivevano lì o andavano dalla parte opposta rispetto al paesino in cui abitavo. Chiamare mia madre era impossibile, perché era di turno all'ospedale e non avevo nessun altro. Perciò, potevo solo aspettare.
Mentre sprofondavo nel mio malumore, un uomo mi si avvicinò, prima indeciso, poi più convinto. "Dio, ti prego, fa' che non si sieda qua, ci sono altre dieci panchine, perché deve mettersi proprio qua?" pensai, abbattuta. Misi lo zaino accanto a me, nella panchina, nella speranza che, vedendolo, l'uomo capisse che non volevo compagnia. Speranza vana.
-Ciao, come stai?- mi chiese l'uomo, spostando lo zaino per mettersi a sedere. Feci per rispondergli, in modo non molto educato, ma fui distratta dal suo cravattino, che mi fece sorridere spontaneamente.
-Oh, che bello, finalmente un sorriso, è tutta la mattina che cerco qualcuno abbastanza cortese per rispondere a qualche domanda, ma ho trovato solo persone di fretta e studenti. Non fraintendermi, mi piacciono gli studenti, mi piacciono le persone in generale, ma credimi, parlare con un adolescente non è semplice, pensano soltanto a panini e dormire e tornare a casa.- disse l'uomo, senza prendere fiato. Parlava così veloce che stargli dietro era impossibile.
-Io sono una studentessa, signore.- gli dissi, tirando fuori la prima cosa che mi era passata per la testa dopo il suo monologo.
-Bene, vuol dire che sai osservare, sempre che tu non sia affamata o stanca, quindi dimmi,- si voltò verso di me e mi guardò, scrutandomi da vicino, per poi continuare:-hai notato nulla di strano ultimamente qua intorno?-
-Intende, oltre lei?- chiesi, aggrottando le sopracciglia, lui mi imitò e si avvicinò ancora. Mi immobilizzai, aspettando che si allontanasse, invece con la coda dell'occhio notai che stava avvicinando una mano al mio volto e il suo si stava avvicinando.
Fu tutto molto veloce e istintivo, un minuto prima ero immobile, con un estraneo che mi fissava a pochi centimetri, un minuto dopo, l'estraneo era in piedi e si teneva la guancia, mentre la mia mano pizzicava.
-Perché mi hai dato uno schiaffo?- chiese, stupito.
-Be' scusa, ma non hai idea di cosa sia lo spazio vitale? Neanche ci conosciamo ed eri ad un centimetro da me!- sbottai, alzandomi a mia volta e prendendo lo zaino.
-Non essere sciocca, non era un centimetro, ma ben cinque. Cinque virgola tre, per essere precisi.- mi corresse, a quel punto me ne andai nella direzione opposta a lui, che mi urlò dietro:-dove vai?-
-Ci ho pensato e mi sono chiesta perché mi sono messa a parlare con uno sconosciuto. Perciò me ne vado. Buona giornata.- urlai a mia volta, senza fermarmi o guardarmi indietro.
Lui continuò a chiedermi di non andarmene, per un po', finché non si arrese, borbottando:-Fai come vuoi.-, ma a quel punto mi fermai. Davanti a me c'era uno sciame d'insetti, enorme. Avevo paura degli insetti perciò non mi fermai a controllare cosa fossero, perché di una cosa ero sicura: il pungiglione lo avevano eccome. Erano grandi quanto un calabrone, alcuni anche di più, perciò mi affrettai a fare dietrofront, senza però distogliere lo sguardo dallo sciame, che sembrava avvicinarsi.
Ormai arrivavo a sfiorare la panchina in cui ero seduta prima e mi accorsi che lo strano uomo era al mio fianco, a osservare gli insetti, come me, solo che mentre io ero spaventata, lui sembrava incuriosito.
-Non li toccare.- mi avvertì. Resistetti dall'alzare gli occhi al cielo solo perché non volevo perdere di vista lo sciame.
-Non ci stavo nemmeno pensando, non preoccuparti.- dissi, ma appena finii di parlare gli insetti produssero un ronzio strano, che associai alla rabbia.
-Corri.- disse l'uomo, improvvisamente allarmato.
-Come scusa?- chiesi, interdetta.
-Corri!- ripeté e, istintivamente, feci come mi aveva detto. Scappammo, fianco a fianco, attraverso il parco e oltre esso, con uno sciame di insetti che ci inseguiva.
Dopo un po', quando ormai sentivo l'aria raschiare i miei polmoni, l'uomo si infilò dentro una porta blu, ed io lo imitai, chiudendomela alle spalle.
Quello di cui non mi ero accorta, nella fretta di mettermi al sicuro, era che la porta blu apparteneva ad una vecchia cabina telefonica della polizia inglese.

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