Il CD
Mi sento vuota. Nel petto, sì, proprio lì. Sento come una voragine e non si vuole riempire, non vuole chiudersi. Ci ho provato in mille modi: con il cibo, ma l'unico risultato è stato quello di diventare una balena di sette anni, con gravi problemi a socializzare e dei genitori preoccupati, ci ho provato facendo la dieta e mangiando libri al posto di hamburger, ho provato a riempire quel vuoto con l'orgoglio mio e dei miei genitori, diventando magra e acculturata, studiando costantemente... Ma niente. Sono vuota.
Ho un corpo, ma la mia anima sembra essere volata via, da qualche parte e io non riesco a vederla, nè a sentirla. E fa male, certe volte. Quella voragine mi provoca delle fitte, fitte immense. Uno dei pochi sentimenti che questo involucro mi permette d'avere.
Sono stanca.
Sono stanca di tutto questo tormento.
È tutta la vita che me lo ripeto. A sette anni, i bambini avevano paura di me, perché non sorridevo quasi mai e facevo notare cose terrificanti, che loro non avrebbero mai pensato. Ero cicciona, denigrata e il vuoto si faceva sempre più grande. Avevo persino pensato al suicidio. Certe volte mi dicevo: "Sì, dall'ultimo piano, ma prima finisco questo libro". Ebbene sì. Ecco cosa mi tenen in vita: i libri. Libri come "Il Cavaliere Inesistente", che parlava di una persona come me: Burdulù, un uomo con un corpo ma senza una coscienza, senza un'anima, o anche "Dorian Gray", con il suo quadro a riflettere la sua vera essenza. Forse avrei dovuto scrivere un libro su di me. Insomma, sono un'involucro con un quoziente intellettivo di 160 ovvero con un'intelligenza pari a quella di Einstein e senza un'anima. Curiosa, no? Beh, evidentemente non per i miei compagni. Anche dopo essere dimagrita ed essere diventata più carina, mi trattavano come lo scarto della cucciolata.
A undici anni, mi avevano classificata come "quella stramba". Ero intelligente e obiettiva, avevo anche provato a essere più simpatica, ma la ragione prendeva sempre il sopravvebto e i miei muscoli facciali sembravano paralizzati sempre nella stessa posizione. E basta. O almeno questo era quello che mi dicevano i miei genitori. Loro mi volevano tanto bene. Erano sempre al mio fianco, quando piangevo, mi ricordo, che mi sdraiavo sulle loro gambe e papà mi accarezzava le cosce, mentre la mamma i capelli. Mi sussurravano parole dolci, dicendomi che non ero affatto un mostro, ma solo più intelligente. Mi dicevano che ero speciale. Mio padre poi suonava un po' la chitarra, per tirarmi su il morale e tutto passava. Ma non quel vuoto. Quel vuoto era sempre presente.
Mi accompagnò per tutta la vita. Io imparai a nasconderlo, imparai i gesti usuali delle persone normali, quelli che trasmettevano le emozioni e imparai ad interagire come una persona normale, pur sapendo di non esserlo. Era strano per me, pensare una cosa e dirne un'altra. Solitamente dicevo tutto ciò che mi passava per la testa, alcune volte ferendo anche le persone e per questo rendendomi antipatica. Ripensandoci mi sento ingenua. Non riuscivo proprio a controllare la lingua... Ma imparai.
Studiai psicologia. Più per me, per farmi capire come funzionavano gli esseri umani, che per i miei futuri pazienti.
Ero brava a capire le persone, anche se non riuscivo a capire bene me.
Quando iniziai a lavorare, tutto andava a gonfie vele. Avevo degli amici, anche se nessuno sapeva chi ero io realmente, avevo reso fieri i miei genitori, cosa più importante, e avevo coperto quel buco, sperando di non inciampare e caderci dentro nuovamente.
Sì, stava andando bene, ma se sarebbe potuto andare meglio?
Ed ecco che la risposta arrivò. Arrivò insieme ad una donna, sulla mezza età, un sorriso accogliente e una buona proposta, che accettai senza rimpianti. Salutai i miei genitori, promettendogli che sarei tornata presto e che li avrei chiamati spesso, poi partii alla volta di Ashford.
Lì avrebbero potuto colmare quel vuoto.
Ci riuscirono.•••
Le dolci note di Supermarket Flowers, una canzone di quelle sdolcinate, cantate con solo il pizzichio di una chitarra in sottofondo, accompagnavano la camminata veloce e frettolosa di Rebeka, che non faceva altro che pensare a ciò che le sarebbe dovuto uscire dalla bocca. Tra tutte le scuse che aveva usato nella sua vita, proprio non aveva idea di cosa tirare fuori per giustificare il suo primo ritardo al suo nuovo lavoro. Fare la psicologa in uno studio tutto suo non le piaceva più. Ora voleva avventurarsi in qualcosa di più pericoloso. Il suo cuore faceva scintille e lei si sentiva felice ed eccitata. Ma in quel momento era anche preoccupata. Qualcosa come "non succederà più" sarebbe stata banale e sicuramente sarebbe apparsa fasulla, perciò pensò di optare per un "mi scusi, colpa del traffico", quando invece la colpa era stata sua e di nessun altro, probabilmente per la sua stupida incapacità di non sapersi mettere le lenti a contatto.
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La Trappola Del Diavolo
Mystery / ThrillerIl Diavolo può avere tante forme, può essere tante cose, può farsi credere tante cose. E anche qui si parla del Diavolo. Ma non esattamente quella presenza dalla pelle rossa e le corna e la coda a punta... piuttosto un'ombra, dal sorriso affilato, g...