p r o l o g u e

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Avevo sei anni quando vidi per la prima volta l'oceano.

Mio nonno pensava che fosse la cosa migliore; che la sua adorata nipote che gli somigliava tanto sarebbe stata la leva giusta per far ritornare sua figlia e il marito sulla buona strada, quella della cultura cheeroke.

Io non li capivo i loro scontri, il perché i miei genitori ci tenessero tanto ad allontanarmi dalle origini di mia madre, la figlia del sacerdote, la figura più influente all'interno della comunità cheeroke: per me erano sole parole al vento, prive di significato.

Tutto ciò che mi interessava erano le storie della buonanotte che mio nonno mi raccontava mentre stavo da lui: storie di mostri, storie di fate magiche e di spiriti maligni.

Io ci credevo davvero, e il mondo sembrava un grande castello magico ai miei occhi: le piante erano i nascondigli delle fate, il buio il rifugio dei fantasmi e il mare il regno delle sirene.

Erano loro le mie creature preferite: tanto belle quanto letali, le trovavo affascinanti.

E fu per questo che mio nonno mi portò a vedere l'oceano, anche se distava cinque ore di viaggio da Splinters ed era pieno inverno.

Io ero così felice, era pressoché un sogno ad occhi aperti: vedere l'oceano mi faceva sentire così piccola, sfiorarlo invece così potente.

Capii subito che l'acqua era il mio elemento, l'unico luogo in cui avrei trovato la pace, e mio nonno era così felice perché pensava che la mia gioia avrebbe convinto i miei genitori a tornare a Splinters.

Io pensavo solo a quanto sarebbe stato bello sparire nell'oceano.

Venni a sapere solo dopo anni che i miei genitori in realtà non sapevano di quel nostro viaggio, che praticamente mio nonno mi aveva rapita per due giorni e che era per questo che non avevo più potuto vederlo.

Piansi così tanto, perché sapevo che l'oceano, da quel momento in poi, l'avrei visto solo nei miei sogni, così come mio nonno.

Sfioro con delicatezza il cuscino chiaro, su cui ancora sento l'odore acre del profumo che lui amava tanto.

E' da quattordici anni che non lo sento, quattordici anni che non vedo mio nonno.

E ora lui è morto, solo, perso nel dolore per non aver saputo riavvicinare la figlia a sé, per averla persa, così come tutto il resto della sua famiglia.

Anche io gli ho voltato le spalle, e solo ora mi rendo conto di quanto sono stata stupida, di quanto il mio terrore lo sia stato, perché mio nonno non c'entrava nulla con cosa è successo ad Emma tre anni fa, quella volta che provammo a venire a trovarlo scappando dai nostri genitori.

Abbasso lo sguardo, infilando nella scatola di cartone alcuni degli oggetti a cui più teneva, come il suo profumo e i libri di leggende.

Avrei voluto avere abbastanza tempo per ascoltarle tutte, avere abbastanza forza per sfidare i miei genitori, ma non c'è l'ho fatta, ho fallito: ho visto la sua bara chiudersi davanti ai miei occhi.

Apro alcuni cassetti, iniziando a frugare fra i vari vestiti che probabilmente verranno gettati via dagli assistenti della casa di riposo secondo le regole.

Mi è permesso portar via solo qualche piccolo oggetto, come se davvero bastasse questo per poter superare il dolore di un addio non detto.

Chiudo l'ultimo cassetto, dando un veloce sguardo alla stanza spoglia per vedere se ho preso tutto: non c'è gran che in realtà, ma questo è tutto ciò che mi rimane.

Mi siedo sul letto, sentendo il bruciore delle lacrime pizzicarmi gli occhi.

Non ho più nessuno: tutti mi hanno lasciato, in un modo o nell'altro, e ora sono sola.

Splinters / Bill SkarsgårdDove le storie prendono vita. Scoprilo ora