Capitolo 2

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Sto viaggiando con la macchina in tutta velocità verso la mia meta. Sento degli squilli provenire dal portaoggetti davanti al sedile del passeggero; odio le distrazioni alla guida. Non rispondo mai al telefono in auto, è una cosa che ho sempre odiato da quando mia madre fece quel brutto incidente, 7 anni fa. Mia sorella invece si ostina ancora a farlo. Come si ostina anche a bere, farsi di cocaina e provare a rendere l'idea della morte ogni giorno più concreta. Sì, è proprio uguale alla mamma.
Stavolta però mi decido a rispondere, potrebbe essere importante.
- Pronto? Ah è arrivata? Sì, arrivo subito.
Perfetto, mi tocca cambiare destinazione. Mi accorgo di stare andando un po' troppo veloce, quindi rallento; tanto non sto scappando da nessuno. Guardo le strade di Manhattan, troppo trafficate per i miei gusti e per questo mi astengo sempre dal percorrerle, mi mettono addosso una certa ansia, come se tutti mi stessero guardando; ma quando il dovere chiama, non posso atteggiarmi da viziata. Giro all'incrocio dopo aver aspettato il verde del semaforo più lungo di tutta la città e, percorsi circa 50 metri, arrivo a destinazione. Sto per uscire dalla vettura, quando noto (fortunatamente) il Ka-Bar spuntare dalla tasca del mio giubbotto. "Tu non puoi venire con me, non confondiamo lavoro e vita privata" annuncio al coltello, come se potesse sentirmi e gli do persino una piccola pacca come se fosse un ragazzino in cerca di attenzioni. Lo lascio nel portaoggetti e chiudo la portiera. Salgo le scale che mi si presentano davanti, mi aggiusto un po' i capelli e i vestiti e mi apposto davanti alla porta automatica di vetro, che si apre quasi subito. Cammino dritta, con il mio solito sguardo sicuro fin quando un uomo in uniforme, seduto davanti ad un computer, si alza di scatto e porta la mano destra al suo cappello, togliendoselo e riportando il braccio lungo il fianco.
- Buongiorno Commissario.
- Salve ispettore, mi hanno detto che dovrebbe essere arrivato il nuovo Primo Vice Commissario.
- Esattamente Commissario. La sta aspettando nel suo ufficio assieme al Vice Commissario.
Ringrazio l'ispettore e mi avvio verso l'ascensore. Appena entro, mi appoggio ad una parete, massaggiandomi le tempie; penso di non essere più portata come una volta a condurre due vite differenti dannatamente opposte tra loro. Avrei bisogno di una vacanza da tutta questa merda.
Il suono melodioso dall'ascensore, mi fa intendere di essere arrivata a destinazione e, dopo essermi ricomposta, si aprono le porte. Mentre cammino, la scena di pochi minuti prima si ripete con tutti gli altri poliziotti, fino al mio ufficio; scorgo dalle vetrate i due descritti dall'ispettore parlare formalmente e quindi decido di entrare anch'io.
- Vice Commissario Snow.
- Oh, Commissario Johnson, le presento il nuovo Primo Vice Commissario: Dakota Burton.
Le stringo la mano e la squadro dalla testa ai piedi, sperando che lei non se ne accorga. Non è la tipica donna elegante, sempre in ghingheri, truccata di tutto punto. No, nulla di tutto questo. Era più simile a me. Simile a me, ma dannatamente bella. Trovo strano pensare questo di una mia futura collega ma, andiamo, non sarà mai piu strano di condurre una vita all'insegna della criminalità e l'altra all'insegna della giustizia. Guardo il suo corpo, nascosto dai quei capi un po' larghi, spiccare comunque e attirarmi a sé. Ha gli occhi castani, ma verdi intorno alla pupilla; strani ma non strabilianti. La sua bocca, invece, è armata di labbra carnose rosate e un po' troppo secche: mi faranno impazzire quelle labbra. I capelli corti color nocciola chiaro danno possibilità al suo viso di spiccare e il ciuffo più lungo che ha non le arriverà più in basso delle guance.
Non voglio pensare troppo a lungo a quello che suscitano dentro di me le sue curve, quindi ritiro la mano. Probabilmente sarò apparsa sgarbata ai suoi occhi, visto che l'ho staccata così velocemente che la sua è rimasta a mezz'aria per pochi secondi.
- Molto piacere Commissario Johnson, mi hanno parlato davvero bene di lei e di tutti i suoi casi risolti.
- Grazie, può chiamarmi anche Kiara. Gregor Sully, il suo predecessore, aveva imparato a chiamarmi sempre per nome e io facevo lo stesso con lui. In questo modo è più facile che si crei un rapporto di fiducia tra noi. Le va bene Dakota?
Faccio la mia proposta con un ghigno sulla bocca e lei, notandolo, sorride e accetta. Non è un sorriso di felicità o di divertimento. È più che altro un sorriso malizioso; lo stesso che faccio io, davanti alle mie vittime.

La Vedova NeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora