HARRY
Silvia si muoveva svelta per la piccola cucina. Aveva steso una tovaglia a quadri sul tavolo, mi aveva chiesto se gradivo dei biscotti, il latte ed i cereali che, con movimenti automatici, aveva posto davanti la mia vista senza alcun bisogno di risposte. Malgrado ciò, i suoi occhi rivolgevano molta attenzione ai miei quando si girava per interrogarmi. Mi fece tenerezza per tutte le premure che mi stava riservando, in numero tale da sembrarmi buffa. Nell'aria fresca aleggiava un'atmosfera di benessere. Le attenzioni della ragazza rappresentavano la fiammella di speranza che cercavo, quella faccia del mondo in cui volevo stare. Mi sembrava di esser passato in una realtà parallela alla mia, in quella che il sole illuminava e che la notte proteggeva nell'oscurità, mentre la luna rischiarava quelli come me.
Le gambe si sedettero al tavolo in modo da star vicine a quelle di Silvia che, ancora in piedi, aspettava che fosse pronto il caffè. Il suo accento straniero, italiano, che traspariva nelle parole da lei pronunciate, aiutava a farmi credere che mi fossi finalmente allontanato dal mio passato, nonostante mi trovassi ancora nella mia città natale da cui, d'altronde, non sono mai uscito. Inspirai forte l'aria nei polmoni chiudendo gli occhi per amplificare la sensazione. Mi sentii salvo.
Le mani della ragazza versarono il caffè in due tazze di ceramica, lei si morse distratta il labbro quando una lacrima del liquido bollente cadde sul suo dito.
《Mi dispiace ma non abbiamo il tè.》 Mi disse dispiaciuta guardandomi. Non potei far a meno di sorriderle.
《La mattina preferisco di gran lunga il caffè.》 Le dissi mentre la guardavo assumere un'espressione si sollievo. Risi.
《Che ho detto?》
《Nulla, nulla.》 Le mie labbra non smettevano di tendersi.
《È il mio accento?》 Le sopracciglia piegate in uno sguardo interrogativo, era spaesata. Non si rendeva conto di quanto fosse particolare il suo atteggiamento. Dubitavo che mi sembrasse così solamente perché non ero abituato ad un trattamento simile.
《Il tuo accento è bellissimo.》 La confortai, un lieve rossore si colorò sulle sue guance, abbassò lo sguardo sul suo caffè fumante. Adesso si trovava di fronte a me, dall'altro lato del piccolo tavolo in legno.
Mi piaceva sentirla parlare, sentire la voce che accresceva la mia speranza. Attesi quindi che continuasse a formulare le sue frasi. Dei minuti di silenzio corsero mentre entrambi mangiavano dei biscotti al cioccolato. Mi costrinsi allora a riprendere la conversazione. Avevo bisogno del suo timbro acuto.
《Perché sei venuta a Londra? 》Era la prima domanda personale che le rivolgevo.
Lei mi guardò un attimo prima di rispondere. 《Perché volevo imparare l'inglese.》 Mi disse con tono monocorde - forse per la troppa ripetitività con la quale aveva ripetuto quella stessa frase a più persone - disilludendo allora l'idea che mi ero creato della sua situazione: avevo immaginato, infatti, che ci fossero nascosti molti più motivi davanti ad una simile scelta.
Lei mi porse una nuova domanda dello stesso stampo della mia, mostrandosi ancora entusiasta. Mi rimproverai per averle dato questa opportunità.
Silvia chiese perché mi fossi trasferito in quel palazzo, in quel piccolo quartiere. Le risposi che avevo deciso di vivere da solo, non diedi motivazioni e rimasi sul vago. Lei si agganciò alla risposta per raccontare un suo aneddoto divertente sui suoi primi giorni a Londra. Apprezzai la sua bravura nel non insistere, nel capire quando fermarsi; nonostante tutte le domande che poneva, sapeva essere discreta. Fu una qualità che apprezzai. Dopo qualche minuto di racconto ed un'altra manciata di battute si snocciolò il silenzio. La osservai mentre lei teneva lo sguardo sulla sua colazione, non mi sembrava disprezzare la quiete dell'assenza di suono. Mi sorprese continuamente, sembrava esser capace di adattarsi a qualsiasi tipo di situazione. Così ci rilassammo nel silenzio reciproco, scambiandoci qualche occhiata di tanto in tanto. La vedevo assorta nei suoi pensieri, mentre io godevo del nuovo clima che sembrava essersi affacciato sulla soglia dei miei ventitré anni.*
Aprii la porta del mio appartamento, nuovamente solo.
Diversi pensieri iziarono ad accavallarsi su sé stessi. Come l'ultimo sopravvissuto, covavo sensi di colpa per essere vivo. Passai la giornata in casa, senza avere più forze per uscire. I dubbi mi avevano letteralmente prosciugato.
Con il medesimo stato d'animo mi addormentai sul letto di quella stanza che ancora mi pareva estranea.
I pugni chiusi rafforzarono la presa sul lenzuolo stropicciato tra le dita, la mente mi riportava ad un paio di occhi spenti su di un volto maturo, il suo volto. In un lampo rividi la piccola immagine di lei.
Lei dal volto esangue, coperta di lividi sulle braccia bucate nell'intento di una magra consolazione. Lei che continuava a chiudersi nel suo masochismo, vittima delle sue visioni distorte. Lei che, forse, per la prima ed ultima volta, aveva avuto paura per me.
Il suo profilo mi torturava nel sonno inquieto, mi chiamava senza però aspettarmi, si girava dalla parte opposta alla mia percorrendola come era solita camminare, con passo lento ed i piedi che strusciavano, sembrando sonnambula.
Mi svegliai sudato, alzai di scatto la schiena dal materasso, fui nuovamente vigile per un paio d'ore, finché la stanchezza non mi vinse. L'inconscio non faceva altro che torturarsi perché lei non era con me, era sola.
Non ricordavo tutti i momenti del mio viaggio, della mia fuga verso questo luogo, questo appartamento già ammobiliato dell'essenziale, dove avevo portato i viveri necessari qualche giorno prima di scappare definitivamente. Ricordavo di aver preso un autobus e poi una metro, di essere corso dentro queste mura che separavano lo spazio da quello altrui come carta velina. Appena entrato mi ero spogliato del cappotto e delle scarpe bagnati per la pioggia, andai ad un lato del salone e mi rannicchiai con le spalle al muro e le gambe al petto, chiuso come un riccio. L'acqua colava dai miei capelli percorrendo la schiena, i vestiti fradici bagnavano il pavimento. Dopo aver regolato il respiro passai la prima notte guardando fisso la porta d'ingresso, ripetendomi che ero finalmente al sicuro. Egoisticamente, provai sollievo.Ecco il capitolo dal punto di vista di Harry!!!! Spero che il personaggio vi piaccia❤
Ci vediamo al prossimo capitolo!
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Passi sulla neve || Harry Styles
Novela JuvenilHarry Styles è solo a Londra, abbandonato dal suo stesso sangue. Davanti a lui si mostra la promessa di un'esistenza felice, ma i demoni della sua infanzia minacciano di ucciderlo dall'interno. È fermo ad un bivio tra passato e futuro, incapace di s...