CAPITOLO VENTICINQUE. RYAN

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Accidenti a lui e alla sua fissazione che dovevo riprendere i chili persi! Non negavo di essere dimagrita, ma costringermi a finire il cibo che avevo lasciato nel piatto, mi sembrò eccessivo. «Ti ho già ripetuto che se prendo anche solo un altro boccone rischio di vomitare. Per favore, Ryan, ho mangiato più di quello che il mio stomaco può tollerare.» Lo sguardo che mi lanciò non prometteva nulla di buono. «Pensi di farla franca con una scusa tanto banale? Avanti, Elizabeth, ti facevo più intelligente.» «Non sono per niente delle scuse, sono dei giorni che combatto questo virus e il dottor Je… Volevo dire il medico che mi ha visitato, ha consigliato che è meglio mangiare leggero per non appesantire lo stomaco.» Stavo per rivelare il nome del Dottor Jenkins, medico personale di Caryl, ma non volevo che fosse coinvolta, e dire quel nome poteva rivelare il luogo in cui ero riuscita a nascondermi nelle ultime settimane. «Continua pure. Chi è questo fantomatico medico che si è preso cura di te in questo modo tanto esemplare? Forse non sarò un luminare della medicina, ma so riconoscere un deperimento organico.» Mi stavo irritando, e tutto quel nervosismo non faceva altro che peggiorare il mio problema. Portai le mani al grembo, le contratture non duravano molto, ma erano abbastanza dolorose. Ryan se ne accorse all’istante e si avvicinò subito, preoccupato. «Cosa ti fa male?» Non mi diede neanche il tempo di rispondere, che esplose in uno scatto d’ira: «Ora basta! Chiamo il mio medico, almeno scopriremo il vero problema.» Sospirai, rendendomi conto che la sua preoccupazione era genuina. Ero troppo stanca per continuare a discutere e ostentare indifferenza. Avevo ceduto su molte cose quel giorno, e questo mi aveva alleggerito, come se mi fossi tolta un peso di dosso. Ero consapevole che alla fine avrei sofferto, ma star male prima del tempo non aveva alcun senso. Le parole di Caryl erano riuscite a fare presa sulle mie convinzioni e capii di essere pronta ad affrontare ciò che mi riservava il futuro. Sì, non c’erano dubbi: più ci riflettevo e più ero pronta ad ammettere che avevo bisogno di lui. Decidere di lasciargli il controllo non fu poi così difficile come avevo creduto. Tutto il mio corpo lo bramava e la voglia di toccarlo era sempre presente, come una forza invisibile. Ero stanca di lottare, avevo un bisogno disperato di staccare la spina, e Ryan non chiedeva altro. Posai la mano sul suo braccio, aveva già preso il cellulare pronto a fare la chiamata. Lui alzò uno sguardo battagliero, ma appena i nostri occhi s’incontrarono qualcosa cambiò all’istante. «Ryan, sto bene, non ho neanche più febbre.» Lui posò la mano sulla mia guancia trovandola fresca. «Allora, ti sei convinto?» Sospirò rassegnato, e si sedette al mio fianco. «Va bene, a patto che tu mi prometta che mangerai tutto.» Sbuffai rassegnata, sebbene il timore che il mio stomaco non sopportasse tutto quel cibo, non fosse affatto infondato. «Ricordati che, se dovessi star male per aver mangiato troppo, sarà solo a causa della tua testardaggine.» La sua espressione non mutò di una virgola, indispettendomi ancora di più. «Prenderò in considerazione l’ipotesi di essere stato un emerito idiota, ma fino ad allora finirai tutto, altrimenti…» Alzò il cellulare, minacciandomi senza vergogna con una telefonata al suo dottore. Impotente e sconfitta, continuai a mangiare, lanciandogli un’ultima frecciatina. «Sei peggio di un tiranno: Phoebe aveva ragione!» Strizzò gli occhi, sbuffando: «Credo che mia sorella dovrebbe chiudere quella boccuccia ogni tanto. Ha una pessima influenza su di te, ti mette in testa solo delle idiozie.» Lo fissai a bocca aperta, ma lasciai correre. Avevo appena finito di mangiare, che cominciai a lottare contro la nausea, tentando con difficoltà di trattenere il cibo. La voglia di rimettere era sempre più forte ma cercai, con dei respiri profondi, d’impedire ciò che invece sembrava inevitabile. «Dobbiamo parlare, Elizabeth. Quando eri assente ho ricevuto una chiamata da tuo padre.» Il mio corpo s’irrigidì. Quell’uomo mi avrebbe perseguitato per tutta la vita. Sapevo che la morte di mia madre lo aveva ferito, annientato, e mi dispiaceva per lui. Per quanto fosse doloroso, quella disgrazia aveva distrutto anche me e Alice, ma questo sembrava non importarle. «Cosa ti ha detto? Ti chiedo scusa. Immagino sia stato piuttosto…» «Non preoccuparti, non sei responsabile delle azioni di quell’essere ignobile, e comunque non ha senso riferirti i suoi vaneggiamenti.» Conoscevo fin troppo bene i suoi deliri, ma mi ero ripromessa di affrontare sempre i problemi sul nascere ed ero stanca di nascondere la testa sotto la sabbia. «Voglio saperlo, Ryan. Per favore, non tenermi all’oscuro di niente, anche per la mia sicurezza.» «Cosa vuoi sapere, Elizabeth? Puoi immaginare le sue parole. Però è sempre più aggressivo, e questo mi preoccupa.» Prese un respiro e si passò nervosamente la mano tra i capelli. «Sa di noi. Non ho idea di come lo abbia saputo, forse lo ha intuito, ma continua con le sue minacce, e non mi piace.» Le sue intimidazioni di morte non erano una novità. Mi alzai dalla tavola incapace di stare ferma. Il vero problema era che aveva saputo che ero l’amante di Ryan, scatenando ancora di più la sua ira. Il rossore invase il mio viso, appena realizzai il vero significato di “amante”. Mi voltai trovando Ryan a un passo da me. Alzai lo sguardo e nell’incrociare i suoi occhi grigi un’altra vampata accentuò il mio imbarazzo. Spezzai il contatto visivo. Non avevo il coraggio di affrontarlo. Con un dito sotto il mento, Ryan mi forzò a sollevare la testa, obbligandomi a guardarlo. Ero agitata e avevo la bocca asciutta. Deglutii più volte. L’effetto che quell’uomo aveva su di me era scandaloso, ma mi piacevano le sensazioni che mi provocava. «Non guardarmi così.» Ero confusa, incapace di capire cosa volesse dire. «Così come?» domandai con un filo di voce. «Come se mi chiedessi di baciarti.» Rimasi sorpresa per quelle parole. Restammo immobili, come incatenati, studiandoci per un attimo. Dovevo andarmene: restare significava accettare le conseguenze. Il suo pollice accarezzò le mie labbra con studiata lentezza, fissandole come ipnotizzato. Conoscevo quello sguardo cupo, colmo di desiderio e smania, lo stesso che aveva la prima volta che avevamo fatto sesso. «Non… Non lo fare...» lo implorai in un sussurro. Aveva un’aria pensierosa. Si passò più volte la mano tra i capelli, continuando a scrutarmi nel profondo degli occhi. «Non finirà solo perché lo dici tu, questo lo sai?» Distolsi lo sguardo, ma lui mi costrinse ancora una volta a guardarlo. «Tu non hai idea di quanto io ti desideri.» Rimasi senza fiato quando la sua bocca s’impossessò della mia. Le sue labbra sembrava che mi divorassero, mentre le nostre lingue iniziarono a cercarsi, duellando tra loro. Il bacio si fece più profondo e mi misi in punta di piedi per riuscire ad affondare le mani nei suoi capelli. Gli sfiorai la nuca con i polpastrelli e Ryan mugolò, apprezzandolo. Le sue labbra calde e fameliche veneravano la mia bocca in un modo che non credevo possibile, mi stordirono a tal punto che mi accorsi della sua mano infilata sotto al mio maglioncino soltanto quando prese ad accarezzarmi il ventre. Risalì piano con le dita fino al seno e mi pizzicò un capezzolo, acuendo i miei sensi. Si staccò da me e senza fretta iniziò a baciarmi lungo il collo, facendomi desiderare di avere di più. Quell’assalto così sensuale al mio corpo, mi fece inarcare contro di lui, aderendo alla perfezione al suo fisico asciutto e muscoloso. Mi persi nelle sensazioni che i suoi baci mi regalavano e nelle meraviglie che le sue mani sapevano donarmi. Quando mi toccò l’altro capezzolo, strinsi le gambe. Percepii il suo sorriso sulla mia clavicola che non smise mai di ricoprire di baci. Ero tremendamente eccitata: lo volevo e la tensione che cresceva tra le gambe ne era la prova. Feci scivolare le mani sulla sua schiena, per poi farle risalire, praticando una leggera pressione con le unghie. Gli strappai un mugolio, spinse la sua erezione prorompente contro il mio addome, facendomi capire la sua urgenza, il suo desiderio. All’improvviso, in maniera brusca, mi allontanò da lui. Il suo distacco mi lasciò sconcertata, non riuscivo a capire il suo inaspettato cambiamento. Sentirmi respinta mi procurò un’angoscia tale da farmi sprofondare nell’inquietudine più profonda. Il rifiuto era una delle cose che riusciva ancora a farmi male. Tentai di scacciare quei brutti pensieri, ma fallii miseramente. Lo osservai senza provare ad avvicinarmi: teneva le mani strette a pugno lungo i fianchi, il suo corpo era rigido, e continuava ostinatamente a darmi le spalle. «Scusami, io…» Ryan si girò verso di me, accigliato, e si passò con nervosismo una mano sul viso. «Non devi scusarti, Elizabeth. È colpa mia. Non ce la faccio a mantenere il controllo quando ti sto così vicino, non poterti toccare è una tortura.» Rimasi di stucco. Mi era difficile credere alle sue parole. «Comunque è meglio che tu vada a riposare» disse con voce tesa e diede una rapida occhiata all’orologio in platino che aveva al polso. Annuì e mi prese la mano, guidandomi al piano superiore. «Ora vai a distenderti, e senza discutere. Ne hai bisogno: sei esausta e pallida. Vedrai che dopo qualche ora di sonno ti sentirai meglio.» Acconsentii: sapevo che aveva ragione. Erano ormai giorni che non riuscivo a dormire. Lo seguii docilmente fino a quando ci fermammo sulla soglia della stanza da letto. Guardai la porta che aveva appena aperto, e spostai lo sguardo su di lui. «Devo stare nella tua camera?» «Sì, Elizabeth. Sarà anche la tua camera, fin tanto che starai con me.» Mi strinsi nelle spalle, simulando indifferenza. Ryan inarcò le sopracciglia, sicuramente spiazzato dalla mia mancanza di reazione. «Bene, allora a più tardi» disse in tono incerto e chiuse la porta. Di nuovo sola, decisi di farmi una doccia calda per allentare la tensione che si era accumulata in quelle ore, senza contare l’eccitazione sessuale non appagata. Speravo che l’acqua calda riuscisse a rilassarmi abbastanza da lasciarmi riposare almeno per un’oretta. Rimasi nel box doccia sotto la cascata di acqua fumante fino a quando la pelle non diventò rugosa. Dopo essermi avvolta in un morbido telo da bagno raggiunsi il letto enorme che occupava la stanza. Mi sdraiai esausta. Il profumo di Ryan invase le mie narici risvegliando il mio desiderio. Per la mia sanità mentale, sapevo che sarebbe stato meglio non pensarci, e chiusi gli occhi con la speranza che il sonno arrivasse presto. Qualcuno mi chiamò insistentemente, ma la nebbia che offuscava il mio cervello mi fece brontolare di disappunto. Mi rigirai sulla pancia e mugugnai di essere lasciata in pace. Questo sembrò funzionare, fino a quando l’aria fredda arrivò sulle mie spalle scoperte. Mi svegliai del tutto, rendendomi conto di essere ancora nuda. Mi guardai intorno, fino a quando il rumore della doccia mi fece capire di non essere sola. Mi drizzai di colpo a sedere e tirai su la trapunta per coprire il seno. Ero crollata nel sonno più profondo, senza fare in tempo a indossare niente. «Finalmente ti sei svegliata!» Mi voltai di scatto al suono della voce di Ryan apparso sulla soglia della porta del bagno. Strabuzzai gli occhi e per poco non mi venne un colpo. Se ne stava lì, fermo davanti a me, con un telo striminzito che ricopriva a malapena la sua nudità. Il suo petto ampio era ricoperto da gocce di acqua, che brillavano alla luce della lampada. Ryan si avvicinò, con passo felpato, sedendosi sul letto accanto a me. Sembrava fosse a suo agio, contrariamente a come mi sentivo io. Mi osservava con occhi intensi e luminosi, ma senza sfiorarmi. «Credevo che volessi che riposassi» esordii sarcastica. «Hai dormito quattro ore, Elizabeth, quindi mi ritengo soddisfatto per il momento. Adesso devi mangiare qualcosa. Hai ripreso colorito, e il pallore che avevi prima è scomparso.» Quattro ore di sonno consecutive? Lo fissai incredula. Non mi capitava una cosa simile da più di tre anni, ovvero, da quando ero scappata da casa di mio padre. Ciò significava che sotto la difesa di Ryan mi sentivo al sicuro, ma nonostante gliene fossi grata, mi domandavo se fosse un bene. Il pensiero di mio padre tornò ad angosciarmi e lo stomaco mi si strinse, provocandomi ancora quel senso di nausea che credevo scomparso. Non mi sentivo ancora pronta ad assumere del cibo, almeno non in quel momento. «Non ho fame, Ryan. Scusami, ma ho mangiato talmente tanto prima, che mi sento ancora piena.» Quando i nostri sguardi s’incontrarono, capii che non ero riuscita a convincerlo. Alzò un sopracciglio e, senza dire niente, si diresse verso la porta. Girò la chiave, chiudendoci dentro, poi si voltò ancora verso di me, riprendendo a fissarmi. «Bugiarda. Non penso che sia il mangiare a scombussolarti tanto.» Il suo sguardo intenso non mi lasciò neanche per un secondo. Sentendomi smascherata, il rossore si diffuse sul mio volto, facendomi vergognare di me stessa. Ero sempre restia a parlare del problema che avevo con mio padre, ma non era neanche una giustificazione per mentire. «Scusami, non volevo. È che non mi va di parlarne.» «Non hai bisogno di farlo, i tuoi occhi parlano per te» proseguì. «Diventano più scuri, assumono una tinta diversa, particolare, facendomi pensare al mare in tempesta nell’oscurità della notte. Ti succede solo quando pensi a quella carogna.» Era l’unica persona che riusciva a leggermi dentro, e questo mi spaventò. «Vieni qua» mi ordinò in tono autoritario, ma non riuscii a muovere neanche un passo. Qualcosa dentro di me mi spinse a ritrarmi. «Perché?» gli chiesi in un bisbiglio. «Perché lo voglio! Smettila di chiedere sempre spiegazioni per qualsiasi cosa! Ora ubbidisci e vieni qua.» Strinsi la trapunta ancora più forte sul mio petto, gesto che non sfuggì alla sua attenzione. «Elizabeth, ho già visto tutto ciò che c’era da vedere del tuo corpo, e anche di più.» I suo occhi percorsero il mio fisico, che continuavo ostinatamente a coprire. Continuai a stare ferma mentre Ryan si avvicinava a me senza fretta. Non sembrava arrabbiato, ma d’istinto m’irrigidii aspettandomi una sfuriata. Allungò una mano e, dopo aver afferrato la trapunta, tirò con decisione, facendomi ritrovare con il seno scoperto e alla mercé dei suoi occhi. «Bene, così va decisamente meglio» commentò. Mi prese la mano, costringendomi ad alzarmi. Stare nuda, in piedi davanti a lui, mi imbarazzava moltissimo. Tentai di allontanarmi, ma fui subito bloccata dalle sue mani possenti. «Cerchi ogni volta di scappare via, solo perché sai che qualsiasi cosa abbia intenzione di farti, ti piacerebbe.» Aprii la bocca per protestare, ma la richiusi immediatamente, ammettendo che quella era la verità. Mi accarezzò il viso con le nocche delle mano, mentre con l’altra mi sfiorò il fianco. Si avvicinò fino a quando i nostri corpi si toccarono. Non riuscii più a guardarlo in viso, ma non avevo bisogno di vederlo per sapere che in quel momento desiderava prendermi. L’ebbrezza che si diffuse dentro di me fu come un’onda bruciante: mi scaldò in un attimo e la voglia di oppormi si dileguò sotto le sue carezze sensuali. Volevo che mi possedesse, perché solo lui poteva placare quella voglia che si era insinuata dentro me. I pensieri licenziosi che invasero la mia mente mi stupirono. In tutta la mia vita, non avevo pensato molto al sesso, ma da quando avevo conosciuto Ryan era diventato quasi un chiodo fisso. Volevo dargli tutto di me e provare a ragionare era impossibile. Lo volevo così tanto da stare male. La sola cosa che avevo in mente in quel momento era di leccare ogni centimetro del suo corpo e godere del suo sapore. Per quanto fosse strano, tutto il resto non aveva nessuna importanza. Le labbra di Ryan catturarono le mie e il gemito
che mi sfuggì dalla bocca rese la mia voce quasi irriconoscibile. Mi baciò con passione, esplorando minuziosamente ogni angolo della mia bocca, portandomi a un livello di eccitazione incredibile. Strinsi le gambe per placare la voglia: quelle labbra sembravano avere un filo diretto con il nucleo del mio piacere. Probabilmente avrei dovuto vergognarmi di provare queste sensazioni per lui, per un uomo che non mi amava. Invece volevo sentirlo dentro di me, rivivere quel puro piacere che aveva il potere di farmi dimenticare persino dove mi trovassi, e lo volevo come mai avrei creduto possibile. Il bacio si fece più esigente e intimo, rubandomi il respiro e obbligandomi a rispondere colpo su colpo a quella lingua instancabile ed esperta. Sapeva cosa fare e come farlo. Riusciva a svegliare la parte più selvaggia nascosta dentro di me, una parte che neanche sapevo di possedere. Mi mancava il respiro, ma vedere che anche lui era senza fiato mi rese orgogliosa. La sua mano sinistra iniziò a salire lungo il mio corpo, fino ad arrivare al mio capezzolo. Lo strizzò lievemente e quella stretta arrivò dritta in mezzo alle gambe, facendomi bagnare in modo indecente. «Ryan… Ti prego… Ho bisogno…» lo stavo supplicando, ma l’urgenza di raggiungere l’orgasmo aveva abbattuto il muro di pudore che di solito mi bloccava. La sua mano ricoprì il mio sesso, facendo una piccola pressione. «È questo che vuoi, Elizabeth?» Infilò un dito dentro di me, facendo divampare il fuoco che ormai ardeva senza ritegno. Diede un colpetto al clitoride, spingendomi pericolosamente vicino al baratro. Spinsi i miei fianchi contro di lui, per sentirlo più a fondo. All’improvviso si fermò, lasciandomi in preda allo sconcerto. Cercai di attirarlo con il linguaggio del corpo, strusciandomi su di lui, ma la sua mano restò posata sui miei fianchi senza muoversi. Ero frustrata e lo aveva capito, ma non fece niente per darmi sollievo, se non accarezzarmi leggermente. Restò così per un tempo infinito, poi prese la mia mano destra, posandosela sul petto. Amavo come riusciva a farmi sentire, era un uomo che sprizzava sensualità da tutti i pori, ogni suo gesto riusciva ad amplificare tutti i miei sensi. «Se vuoi qualcosa da me, Elizabeth, non hai che da chiederlo» parlò piano, cogliendomi di sorpresa. I nostri respiri erano ancora accelerati, come i nostri cuori, che battevano furiosamente. Mi domandai se sarei stata abbastanza sfacciata da chiedere, ma sapevo già la risposta ancora prima di pormela. «Ho bisogno di venire. Ti prego, Ryan… Io…» Posai la fronte sul suo petto in preda a una smania incontrollabile. Strinsi le cosce con la speranza di attenuare quella voglia che continuava a tormentarmi. Rimase in silenzio e accompagnò la mia mano con la sua lungo il suo corpo, dal torace allo stomaco come una leggera carezza fino ad arrivare al suo membro duro. Ero stata così presa dai suoi baci, che non mi ero neanche resa conto che il telo che ricopriva il suo sesso fosse scivolato ai suoi piedi. Il suo membro era esposto al mio sguardo in tutto il suo splendore. Se qualcuno mi avesse detto che un giorno mi sarei sentita a mio agio nuda, in compagnia di uomo, non gli avrei mai creduto. Non era da me. Ma quell’uomo era Ryan e con lui tutto era possibile. Mi guidò con fermezza verso la sua erezione e m’indusse a impugnarla. Potevo anche non avere esperienza sul sesso, e quindi non avere termini di paragone, ma ero certa di trovarmi di fronte a un membro piuttosto dotato. Cercai di tirarmi indietro, ma Ryan strinse ancora di più la mia mano sulla sua erezione, impedendomi di lasciarlo andare. «Lo senti che effetto mi fai, Elizabeth?» Alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi e strinsi leggermente la mano intorno alla sua erezione, facendolo gemere. Chiuse gli occhi per qualche secondo, quando li riaprì erano diventati torbidi e colmi di desiderio. Si accostò ancora più vicino, baciandomi il collo, per poi salire sulla mascella con piccoli morsi fino alle labbra. Posò una mano sulla mia spalla, e mi spinse verso il basso. «Ora fai come ti dico. Apri la bocca, poi succhialo e leccalo.» Scossi la testa. Non volevo farlo, ma il suo sguardo severo e magnetico mi fece capire che non potevo rifiutarmi. Non avevo mai praticato sesso orale prima, e il pensiero di farlo non mi attraeva per niente. Sapevo che era una pratica sessuale normale tra le coppie, ma non ero pronta, così continuai a negarmi. Ryan prese il suo membro in mano, accostandolo alla mia bocca e, dopo averlo appoggiato alle mie labbra, lo spinse dentro, facendosi largo piano, ma sempre più a fondo. Rimasi rigida e strinsi gli occhi, aspettandomi qualcosa di sgradevole ma, contrariamente alle mie aspettative, le emozioni che mi sommersero furono un’altalena di sensazioni contrastanti, che mi confusero ancora di più. Ryan continuò con pazienza, aiutandomi a farmi scoprire nuove sensazioni. «Elizabeth, voglio vedere i tuoi occhi. Guardami!» Li riaprii subito, puntando il mio sguardo sul suo viso. «Ora lo devi succhiare, leccalo e poi succhialo ancora. Devi farlo forte, così che possa sentire la tua lingua su di me. Su, coraggio, prova. Vedrai che non sarà così brutto.» Lentamente cominciai a fare come mi aveva chiesto. Non era difficile, anche se il mio disagio non accennava a diminuire. Le sue mani, che non avevano mai lasciato le mie spalle, salirono ad accarezzarmi il collo per qualche secondo, poi circondò la mia nuca, impugnando i miei capelli in una stretta, decisa. Cominciò a muovere i fianchi, penetrando la mia bocca a un ritmo lento, ma costante. «Oddio… Sì così, non fermarti.» La sua voce era quasi un sussurro, il suo respiro pesante. Non gli avevo mai visto quell’espressione di abbandono sul volto, e per me era eccitante sapere che fossi io a procurargli quella reazione. Mi era quasi impossibile crederlo, perciò decisi di mettermi alla prova. Posai una mano sulla sua coscia e l’accarezzai, mentre con l’altra continuai a tenere la sua erezione, seguendo la bocca che entrava e usciva, andando incontro ai suoi fianchi che dondolavano a ritmo incalzante. Succhiai più forte, accarezzando la punta con la lingua, e lui scattò subito verso di me. Si spinse così in fondo da provocarmi un conato di vomito. Si fermò all’istante, dandomi la possibilità di prendere respiro. «Tutto bene?» domandò. Annuii. Stranamente, non usai quella scusa per tirarmi indietro, e questo faceva capire come mi sentissi nel vederlo così sovraeccitato. Ripresi da dove mi ero fermata. Lui inarcò ancora i fianchi, gli occhi colmi di una brama che non gli avevo mai visto. Quello che gli stavo facendo gli piaceva da impazzire quanto essere dentro di me. Succhiai sempre più forte, leccai tutto attorno come per gustare il suo sapore deciso e salato. Poi rincominciai tutto da capo: succhiai e leccai ancora e ancora, senza mai fermarmi instancabile. Ryan si spingeva nella mia bocca, senza più controllo, senza più dolcezza. Attraverso la mia mano sentivo le sue gambe tese fino allo spasmo, e questo fu il campanello che annunciò il suo orgasmo. Mi tirai indietro, ma lui strinse più forte i miei capelli. «No. Non ora. Voglio che tu vada fino in fondo» ringhiò quasi. Quando capii il senso delle sue parole, rimasi quasi scioccata, ma il suo sguardo parlava chiaro. «Ti prego, Elizabeth.» Non smise neanche per un momento di muoversi, ma non abbastanza per arrivare al culmine. Stava aspettando il mio consenso, non voleva costringermi. Decisi in un secondo, seguendo solo il mio istinto, e annuii, accettando la sua richiesta. Appena capì, gemette, e riprese a muoversi come un forsennato, e se poco prima avevo creduto che si fosse abbandonato, mi ricredetti. Riprese i miei capelli tra le mani con una migliore presa, spingendo il membro nella mia bocca ancora più forte. Potevo farcela, anche se un po’ di timore cominciava a farsi largo nella mia mente. Speravo di aver preso la decisione giusta, e i suoi occhi dissoluti puntati su di me rinsaldarono la mia decisione. Voleva me, voleva la mia bocca, voleva che bevessi la sua essenza, e questo mi convinse del tutto. Gli permisi di entrare più profondamente quasi fino alla gola, succhiai e leccai ogni centimetro della sua asta, ogni volta che si spingeva in profondità. Gemette più volte, stringendo convulsamente i miei capelli. Mi doleva la bocca per la contrazione che esercitavo sulle labbra. La gola era irritata, perché esposta alle spinte di Ryan, che affondava sempre più con insistenza, per l’urgenza di raggiungere l’orgasmo. Ritirai un po’ le labbra, sporgendo leggermente i denti, creando un attrito che gli diede il colpo di grazia. Tutto il suo corpo s’irrigidì. «Oh… Cristo…» Lo succhiai ancora una volta, e un liquido caldo schizzò dritto in gola. Lo ingoiai subito, senza aspettare di sentire il suo sapore, anche se non potetti evitarlo del tutto: era salato, dal sapore forte ma indefinibile. Guardai Ryan: il suo respiro era spezzato, il suo corpo madido di sudore, e i suoi occhi ancora cupi per il piacere appena provato. Scivolò accanto a me, in ginocchio, prendendo il mio viso tra le sue mani. Ci fissammo senza dirci nulla. Eravamo come in un limbo da cui non riuscivamo a uscire. «Grazie, è stato bellissimo. Non mi sentivo così da tantissimo tempo.» Non risposi, ma quello che mi aveva appena confidato mi scaldò il cuore. «Stai bene?» Annuii con un cenno del capo, trovavo che le parole in quel momento fossero superflue. Ero in pace con me stessa e mi sentivo serena. «Ti ha fatto ribrezzo?» Scossi la testa. A quel punto Ryan assunse un’espressione preoccupata, così decisi di rassicurarlo. «Sto bene…» Mi schiarii la voce bassa e roca, con la speranza che tornasse normale. «Sto bene, e no, non mi ha disgustato.» Avvertii il mio viso diventare rosso, il ché mi sembrò piuttosto ridicolo, visto quello che avevo appena fatto. «Ma non ti è piaciuto» disse alzando le sopracciglia, scettico. Sinceramente non sapevo cosa rispondergli. Le uniche cose di cui ero certa in quel momento, era che mi era più che piaciuto vedere quanto avesse gradito lui, e che se mi avesse chiesto di farlo ancora, avrei accettato senza pensarci neanche un secondo.

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