1. Tutto ciò che sembra legarci
Il tramonto aveva appena lasciato posto alla sera, mostrandone soltanto le stelle alte sul cielo e i molti lampioni per strada, ad illuminare la via di ritorno che mi avrebbe portata dritta a casa.
Chissà chi era quel tipo di prima... a pensarci bene, non l'ho mai visto da nessuna parte. Ripensai subito al ragazzo che aveva suonato quella melodia pazzesca proprio lì, davanti ai miei occhi, con le dita che si muovevano a tempo sul pianoforte; quello stesso strumento posizionato all'interno del tempietto, costruito nel bel mezzo di Northwest Park.
Quella canzone unica, dal suono un po' nostalgico e che, in qualche strano modo, era riuscita a stravolgere un po' tutto il mio pomeriggio.
Non appena mi avvicinai a casa, mi resi conto di quanto fosse diversa dal vecchio posto in cui vivevamo un tempo.
In Florida, quando stavamo ancora ad Orlando, la nostra vecchia casa era soltanto un piccolo appartamento in un palazzo squallido di quartiere, mentre, la struttura che mi si parava davanti in quel momento, non era nient'altro che una graziosa villetta dalle mura color avorio, compresa di un giardino ben tenuto ed abbastanza ampio.
A quel proposito, notai come il giardino di casa apparisse piuttosto vuoto, ma come, invece, le luci accese all'interno dell'abitazione, mi suggerivano che in realtà ci fosse qualcuno.
Non avevo idea se i nostri ospiti fossero già arrivati, ma ero quasi certa che la mamma fosse rimasta a casa ad aspettare il mio ritorno.
Presi un bel respiro e infine mi avvicinai alla porta d'ingresso, aprendola soltanto un istante dopo. «Mamma?» provai a chiamarla mentre mi avvicinavo al salone, accanto l'ingresso. «Dove sei?»
«Oh! Finalmente sei tornata, tesoro!» mi disse, apparendo all'improvviso dalla porta a forma d'arco, appena prima che potessi varcarla con le mie stesse gambe.
«Sì, non sarei potuta mancare...» Mi morsi un labbro per quella risposta, che, anche se non riuscivo ancora a convincermene, in quel secondo appariva come la cosa più giusta da dire. «Non volevo farti soffrire, non di nuovo... mi dispiace, mamma.»
Le vidi gli occhi brillare intensamente, come se fosse riuscita a capire tutto lo sforzo che avessi messo nell'affermare quelle parole. «Ti Ringrazio, Becky. Ti voglio tanto bene...»
«Anche io te ne voglio, mamma. E scusa ancora, per beh... ecco... per prima!»
«Non è nulla, tesoro. Su, e poi basta con queste scuse! Non preoccupartene più...»
Restammo qualche secondo ad abbracciarci nel corridoio quando, dopo un po', ci staccammo l'una dall'altra.
Fu allora che la mamma mi prese per mano, trascinandomi con lei in salone.
«Ehi! Ciao, Becky!» Josh mi venne in contro, mentre alzava una mano e mi salutava sorridendo.
Non mi aspettavo di trovarlo già lì.
La mamma era una persona troppo imprevedibile, spesso con la testa da un'altra parte e gli occhi da un'altra ancora.
Non potevo dire diversamente della sua memoria: a dir poco imbarazzante, così come lo stesso fatto che non si ricordasse di avermi detto di quella cena.
«Ehi, Josh! Tutto bene?» gli chiesi, cercando di non guardarmi intorno a posta.
In quell'istante mi sentivo così travolta dalle emozioni e in imbarazzo, che, trovare i suoi figli a fissarmi mentre salutavo il loro papà, era l'ultima cosa che sentivo di volere veramente.
«Certo che sì! Tu, piuttosto? Dove sei stata tutto questo tempo? Stavamo per chiamarti! Tua mamma ha preparato dei manicaretti che sono la fine del mondo!» Josh mi sorrise nuovamente, il tono come sempre scherzoso.
Era un uomo abbastanza alto, persino più alto della mamma; ed esattamente come lei, anche lui si trovava sulla quarantina.
A compensare il fatto che non avesse capelli e che quindi fosse completamente calvo, però, c'erano i suoi occhi di una tonalità talmente azzurro chiara, dove, certe volte, immaginavo che qualcuno ci si sarebbe potuto specchiare.
«Sì, scusate. Non volevo farvi aspettare così tanto... una mia amica aveva bisogno di me e sono dovuta scappare all'improvviso!» mentii, accennando un piccolo sorriso.
All'improvviso, qualcuno alla mia destra, scoppiò in una fragorosa risata. «Io non ho visto nessuna amica con te, però.»
Mi girai in quella direzione e, spiazzata dalla consapevolezza, riconobbi immediatamente il ragazzo di quel pomeriggio. «Perdonami, forse avrei dovuto dire sentito.» rise nuovamente.
«Che ci fai tu qui?!» non urlai per poco, riconoscendo il volto e quegli occhi grigi che, intenti a fissare da un'altra parte, appartenevano proprio a Zander.
Dapprima guardai la mamma, che, con l'espressione confusa simile alla mia, sembrava chiedersi cosa intendessi.
«Ma come? Non si nota? Sono qui per passare una piacevole serata in famiglia.» Fece una smorfia, arricciando un lato delle sue labbra.
Sbaglio, o la sua affermazione mi era appena sembrata carica di una sottile ironia?
«Ah! Ma voi due vi conoscete già?» si intromise Josh, che cercò di nascondere una strana delusione nella voce.
«Se così si può dire.» risposi guardandolo.
«Zander! Perché non me lo avevi detto?» si riferì al ragazzo.
In tutta risposta Zander, che continuava a stare seduto in una delle poltrone di pelle, agitò una mano e poi si alzò con l'aiuto del bastone lì vicino.
Adesso i suoi occhi puntavano quelli di Josh. E, anche se credevo che non riuscisse a vedere la posizione esatta di dove si trovasse il compagno della mamma, immaginai che si fosse orientato grazie alla direzione della sua voce.
«Ma che importanza ha, papà? Tanto siamo qua solo per una cena!» Lo vidi tendere la mascella, come se pronunziare quelle parole lo infastidisse.
«Smettila di parlare in questo modo, Zander.» Josh, seppure il tono di voce calmo, parve contrariato.
«Papà?» commentai istintivamente, gli occhi verde chiaro spalancati per la sorpresa. «Quindi voi due sareste padre e figlio?!»
Le labbra di Zander si assottigliarono in un sorriso diverso, quasi stucchevole. «Lo hai capito solo adesso, Becky la stalker?»
La fronte di Josh si corrugò immediatamente a quelle parole. «Becky, la stalker?» chiese e poi mi fissò.
Sentii le guance andarmi in fiamme, come se avessero appena preso fuoco.
«Zander, caro... non capisco il senso di quel nomignolo su Becky, ma ti posso assicurare che mia figlia non è affatto una stalker! Anzi! Da quando ci siamo trasferite qui non fa altro che crogiolarsi nei suoi amati libri...» si intromise la mamma, poi ridendo per smorzare l'improvvisa tensione che aveva fatto breccia in quel momento.
In quell'esatto istante avrei indubbiamente preferito sotterrarmi ancora di più da qualche parte, così come uno struzzo che mette la testa sotto il suolo per nascondersi.
«Ma piuttosto, volete dirci voi due come vi conoscete?» aggiunse poco dopo.
Zander si avvicinò alla finestra, i passi decisi come se si fosse già abituato alla disposizione di quella casa. «Perché non glielo racconti tu, Becky?» Passò la palla così in fretta a me, che mi ritrovai a sbattere le palpebre per quel suo nuovo lato, decisamente arrogante, e di cui adesso iniziavo a rendermi conto... nonostante, solo qualche ora prima, avessi creduto completamente diverso.
Il ragazzo che avevo conosciuto a Northwest Park, infatti, mi era sembrato totalmente diverso dal ragazzo impertinente di quel momento.
Una persona sensibile, dolce, e forse anche gentile, era quello che pensavo di aver visto in lui. Ma forse mi ero solo sbagliata e, quel che avevo creduto come reale, non era stato nient'altro che un sogno creato dalla mia fervida immaginazione.
Guardai la mamma e poi Josh, avvertendo a pelle lo strano imbarazzo che alleggiava in quel momento nella casa. «Ci siamo visti al parco, questo pomeriggio... l'ho visto suonare il pianoforte al tempietto di Northwest Park.» spiegati tutto d'un fiato.
«Ah! Adesso si capisce tutto!» Josh rise divertito. «Siamo stati lì prima di venire qua! Ho saputo da poco di quel tempietto, e ho voluto portare Zander a posta lì proprio per quel pianoforte. Se avessi saputo che anche tu eri lì, ti avremmo dato un passaggio noi... Becky.»
«Oh, no... Figurati, Josh. Non mi dispiace poi così tanto camminare a piedi.» risposi, sperando che quella conversazione si concludesse al più presto.
«Ehi, figliolo! Potevi dirmi che avevi incontrato Becky, però!» Si avvicinò al figlio e gli stropicciò i capelli con un gesto affettuoso.
«Pà! Dai, smettila! Lo sai che non mi piace quando mi tocchi i capelli.»
Era impressionante come Zander fosse alto almeno quanto suo padre, alto quasi due metri.
In confronto, io ero soltanto un piccolo alberello troppo basso e rinsecchito.
La mamma, invece, anche lei dal colore dei capelli ramato, era molto più in carne e di qualche centimetro più alta di me.
«Allora, Silvia! Adesso siamo pronti per mangiare? Il mio stomaco chiede rifornimento al più presto!» scherzò Josh, riferendosi alla mamma.
«Oh sì, certo!» rispose. «Se non ci sbrighiamo adesso, penso che Regina si mangerà tutto quello che ho preparato per voi!» Sorrise guardando fare lo stesso a Josh.
Sembravano così innamorati quei due, che non riuscivo a non pensare quanto mi sembrasse strano.
«Chi è Regina?» le sussurrai poi, curiosa.
«Regina è la sorella minore di Zander! La vedrai, è una ragazzina deliziosa!»
«Immagino...» risposi poco convinta, sperando che si distinguesse almeno dal carattere presuntuoso del fratello. Quello stesso fratello che, in quel momento, nonostante non potesse saperlo e non mi vedesse affatto, adesso puntava quel suo sguardo indecifrabile proprio dritto su di me.
In quell'attimo sentii una scossa partirmi dallo stomaco al petto, le guance rosse, e subito dopo mi girai per dirigermi nella sala da pranzo, anticipando tutti gli altri.
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L'ESSENZA DEL TUO SUONO
RomanceBecky Thompson sa di dover dare un taglio alla sua vecchia vita, quella che conosceva e che adesso non esiste più. I genitori che l'hanno cresciuta hanno divorziato e il padre è scomparso scappando via con un'altra donna, lasciando dietro nient'altr...