- 6 - WILD HEART, FREE SOUL

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Continuai a sentirmi addosso il suo sguardo duro e pungente per molto tempo.
D'altronde,
non avrei dovuto stupirmi della sua diffidenza.
Era come un animale selvatico abituato a non fidarsi di nessuno e a contare solo su sé stesso.
Conquistare davvero la sua fiducia sarebbe stato un processo lungo e faticoso,
fatto di minuscoli passi avanti e tantissime repentine retrocessioni.

E avrei dovuto comportarmi con lui proprio come si fa con gli animali selvatici.

Porgergli la mano con muta pazienza restando immobile o compiere radi gesti misurati, permettendogli di avanzare spontaneamente verso di me un po' alla volta.
Di rimanere ad osservarmi e studiarmi.
Di dubitare,
per poi ricredersi.
Di avere paura.
Di annusare il mio odore a distanza, giorno dopo giorno,
sino ad abituarsi.
Di scappare al primo rumore rintanandosi lontano celandosi nell'ombra.
Di strappare velocemente il boccone di cibo dalle mie dita per poi arrivare con il tempo a concedersi di attardarsi sino ad azzardarsi a sfiorarmi i polpastrelli con le sue vibrisse.

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Dal mio risveglio mi aggiravo per la cella come un animale ferito e spaventato.
L'iniezione mi aveva indotto un sonno asfittico ed artificiale e per un po' non ero riuscito a ricordare l'accaduto, se non frammenti spezzettati come un inquietante caleidoscopio.

"La sua garanzia..."
sussurrai ferito ed incredulo.
"È così che mi ha definito"
Sbattei un pugno al muro.
E poi ancora e ancora sino a non sentire più alcun dolore.
Sino a spaccarmi le nocche e ad imbrattare il muro col mio sangue.

"Cazzo! Cazzo! Cazzo!"
ruggii, piangendo sopraffatto dalla rabbia.
Nascosi il viso tra le mani martoriate come a cercare di fermare i pensieri e riordinare il caos dentro la mia testa.
Il mio istinto di sopravvivenza mi spingeva lontano da lei.
Mi sussurrava di non fidarmi,
di non lasciarla avvicinare troppo a me.
Ma qualcosa di fottutamente sadico e sbagliato nel mio profondo invece, mi urlava ininterrottamente sino a farmi sanguinare le orecchie che lei era parte di me.
Che non dovevo lasciarla andare.
E soprattutto che non potevo.

Mia.

"Evans.
Non ti è bastata l'iniezione di prima?
Non mi costringere a contenerti"
gracchio' la vocetta metallica riprendendomi dall'interfono con bieca soddisfazione.

Mi fermai stremato.
Immobile nel buio ansimavo la mia frustrazione che si condensava in piccoli sbuffi fuori dalla mia bocca socchiusa.

Mia.

Cosa dovevo fare?
Ero dilaniato da un conflitto dentro me.
Tormentato dal mio stesso inconscio.
Anelavo a lei più di qualsiasi altra cosa, ma avevo paura.

Una paura fottuta.

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"Dott. Krellman,
ho bisogno di più informazioni su Evans per capire come muovermi con lui.
D'altronde l'ha detto lei stesso,
non lo conosco affatto"
cercai di blandirlo per ottenere qualche stralcio della vita di Blake.

"Signorina Sorensen..."

"Neve,
la prego"
lo interruppi,
cercando di instaurare un rapporto meno sterile e più confidenziale per carpire la fiducia di quest'uomo così asettico.

"E sia, Neve"
mi concesse dopo avermi studiata per qualche interminabile minuto.
Fece rotolare il mio nome di battesimo nella sua bocca con una smorfia di disappunto e sufficienza.

"...ma lei,
naturalmente,
converrà assieme a me che non mi è possibile condividere informazioni personali per via della privacy del paziente"

"Neanche per il suo bene?"
tentai.

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