- 9 - HURT

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Udii i suoi passi leggeri allontanarsi lungo la passerella con un misto di sollievo e amarezza.
Volevo con tutto me stesso averla vicina,
il mio corpo e la mia anima la reclamavano selvaggiamente urlandomi le stesse parole all'infinito fino a stordirmi i sensi.

Sei mia.

Ma allo stesso tempo avevo una paura fottuta che mi ferisse come aveva già fatto o ancora peggio che se ne andasse,
strappando via anche l'ultimo brandello di me.

Dylan non disse nulla.
Si limitò con un cenno del capo ad indicarmi il pavimento su cui giacevano due oggetti che lei ci aveva lasciato prima di andarsene.

Un lettore mp3 e delle cuffie.

Non ne avevo mai avuto uno mio. Anzi,
a dirla tutta,
non avevo mai avuto nulla che potessi definire mio.
E non so neanche se la musica che avevo avuto occasione di ascoltare fino ad allora limitata a qualche triste motivetto nelle sale d'attesa, la potrei davvero definire musica.

Lei...
mi aveva regalato l'individualità.
Lei...
mi aveva regalato il diritto di possedere qualcosa.
Lei...
mi aveva insegnato il valore di meritare il pensiero e il tempo di qualcuno.

"Ehm ehm"
si schiarí la voce Dylan,
che nel frattempo aveva già indossato le cuffie.
"Amico,
credo proprio che lei ti abbia lasciato un messaggio"

"Dov'é?"
domandai interdetto vagando con lo sguardo alla ricerca di una lettera o un biglietto.

Lui scosse la testa divertito ed indicò il mio lettore.
"Il messaggio é una canzone,
amico.
La prima traccia.
E quel lettore è senza ombra di dubbio quello che lei aveva destinato a te"

"Come fai a dirlo?"
aggrottai la fronte confuso.

"Ascoltala e capirai cosa intendo"
spiegò infilandomi le cuffie e mettendomi tra le mani il lettore, come si farebbe con un bambino.
Poi,
vedendo che rimanevo immobile a fissare quell'aggeggio,
sbuffo' intenerito e tornò sui suoi passi spingendo un tasto che lo fece illuminare.

"Tu devi proprio essere un cazzo di extraterrestre"
brontolo' fra sé e sé.

...Mi sono ferito oggi
Per vedere se riesco ancora ad emozionarmi.
Mi concentro sul dolore
L'unica cosa che è reale
L'ago squarcia un buco
La vecchia familiare puntura
Provo ad ucciderlo
Ma ricordo ogni cosa...


Cristo.
Deglutii forte.
Non me ne resi quasi conto sino a quando non sentii la mia guancia improvvisamente umida.

Stavo piangendo.

Una lacrima,
lenta e solitaria,
rotolo' intrappolata tra le mie ciglia scivolando pigramente sul viso.
La prima lacrima della mia intera vita che non fosse scaturita dalla rabbia o dalla frustrazione.
Ed anche questo,
senza saperlo,
me l'aveva donato lei.

Era una lacrima di consapevolezza e di accettazione del mio dolore,
del mio vuoto e del mio essere stato solo fino ad ora.
Era una lacrima di liberazione, perché non ero più solo e non potevo credere che un emerito sconosciuto mi stesse cantando dolcemente nelle orecchie la sua storia e il suo sentire,
che era così tristemente simile al mio.
Era una lacrima di rivalsa,
perché qualcuno,
lei,
mi stava dicendo attraverso quelle parole che vedeva la mia sofferenza.
Mi stava dicendo che mi vedeva.
E che voleva essermi vicino.
Che voleva esserci per me.

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