1-Quando il mondo cade (parte due)

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«Che...» annaspai. «Che cosa le è successo?» Chiesi con difficoltà. Avrei voluto toccarla, ma era come se il mio corpo fosse diventato di ghiaccio.

Non mi sembrava ferita ma non sembrava nemmeno la donna forte e coraggiosa che conoscevo, pareva piuttosto il fantasma di quella donna. Aveva due profonde occhiaie sotto agli occhi chiusi e un gran pallore le ricopriva il viso, accentuato anche dal colore scuro dei capelli. Le sue mani tremavano un po'.

«L'esercito ha fermato l'armata nera a Hope, i migliori maghi hanno creato una barriera, non reggerà per sempre ma per ora ce la faremo bastare» rispose mio padre, non riuscii a guardarlo, non riuscivo a staccare gli occhi da lei. Lo sentii sospirare e la sua voce s'incrinò.

«Sembrava tutto a posto, poi ci siamo resi conto che alcuni dei nostri erano rimasti dall'altra parte e... lo sai com'è fatta, deve sempre fare l'eroina e... ha salvato quei maghi, ma Etrom l'ha colpita con il suo incantesimo prima che potessimo richiudere il varco che avevamo creato nella barriera.» Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo.

Un macigno non rendeva minimamente l'idea del peso che mi stava divorando il petto.

Il suo incantesimo, l'incantesimo che usa come nome... l'incantesimo della morte.

«Etrom» Avevo sentito nominare tante volte quell'incantesimo, l'unico incantesimo capace di uccidere. Era molto più tremendo di ciò che pensavo, sapevo che ti rendeva sempre più debole ma non credevo che il suo effetto fosse così immediato.

Per tutti gli spiriti... non può essere vero.

Mi costrinsi a distogliere lo sguardo. Osservai di nuovo mio padre, non sembrava sconvolto, solo infinitamente triste, come se avesse già saputo da tempo che sarebbe successo. Comequando si vede il colpo di un nemico arrivare, si è preparati, si sa che non losi potrà evitare, ma quando il colpo arriva il dolore è comunqueindescrivibile. 

«Quando ti hanno avvisato?» Domandai, titubante.

«Un'ora fa, forse due» rispose. Era sincero, lo capivo grazie al mio potere eppure avevo quella sensazione...

Alle mie spalle sentii la porta aprirsi, non c'era nemmeno bisogno che mi voltassi, sapevo già chi erano le persone appena entrate: Friedrich e Andres, i migliori amici di mio padre, nonché i consiglieri della regina.

Loro, Alice e suo figlio Leonardo erano la mia famiglia.

«Il guaritore Féldor ha detto che sarà qui a breve, se c'è qualcuno che può aiutarci, quello è lui» annunciò Andres. Anche lui, come mio padre, aveva un aspetto trasandato: i capelli scuri gli si stavano già striando di grigio sebbene non fosse poi così vecchio e le sue braccia erano ricoperte di tagli e graffi non ancora guariti. Si avvicinò al letto trascinandosi con la gamba destra, quella sinistra era rimasta schiacciata da un muro crollato durante la battaglia.

«Non riuscirà a curarla, lo sapete bene» commentò secco Friedrich. Era dimagrito molto negli ultimi mesi, i dolori della guerra gli facevano passare l'appetito e il fatto che fosse terribilmente alto ne accentuava l'effetto. I suoi occhi grigi si posarono sul volto di Alice e una grande sofferenza gli attraversò il volto.

«Magari riuscirà a ritardarne l'effetto.» Rispose Andres, lo ammiravo molto, non smetteva mai di sperare e vedeva sempre il lato positivo delle cose; al contrario Friedrich vedeva sempre il bicchiere mezzo vuoto. Si avvicinò al letto e prese la mano di Alice guardandola con un sorriso, mio padre mi lasciò andare e si sedette sul bordo del letto mentre Friedrich le carezzava dolcemente il viso.

Formavano un interessante mescolanza di nomi quei quattro, ma in fin dei conti era così in tutta ocigaM. Il nostro arcipelago era stato creato secoli prima da tutti i membri del mondo magico per avere un posto tranquillo in cui vivere senza più persecuzioni. Invisibili agli occhi del resto del mondo eravamo il frutto di anni di sacrifici di popolazioni differenti; alcuni di noi avevano radici europee, altri americane, africane, asiatiche e i nostri nomi ne erano una conferma. Un promemoria per quello che i nostri antenati avevano vissuto e per quello che nessuno doveva vivere più.

Li osservai meglio. Era in momenti come questi che mi rendevo conto di quanto forte fosse il legame che li univa, non una semplice amicizia ma una vera e propria fratellanza perché, in fin dei conti, erano come dei fratelli e in quel momento si stavano prendendo cura della loro sorella minore.

Mi chiesi se potesse esistere un legame più forte del loro.

Mi chiesi cosa sarebbe successo quando uno di loro sarebbe morto, che effetto avrebbe avuto sugli altri?

Alice aprì lentamente gli occhi, forse aveva sentito che loro erano lì.

«È bello vedervi» disse, mentre il suo sguardo scorreva su di noi. La sua voce, il suo viso, non fecero altro che amplificare il dolore che stavo provando.

I suoi occhi erano di una bellezza unica, erano scuri e da quella distanza sembravano persino neri, inghiottivano la luce come se non ne avessero mai abbastanza, come un cielo notturno alla ricerca delle proprie stelle.

«Abbiamo molte cose di cui parlar» aggiunse. Noi tutti annuimmo. Mio padre si voltò verso di me e disse:

«È meglio se tu torni nella tua stanza adesso» Annuii, grato a mio padre perché il dolore che stavo provando rischiava di travolgermi. Non salutai nemmeno, uscii dalla stanza quasi correndo.

Alice...La persona più forte che conosco. Non riuscivo a capacitarmene. Per tanti anni si era presa cura di me come una madre, per tanti anni l'avevo avuta al mio fianco e in quel momento vedevo tutti i miei ricordi sbriciolarsi davanti ai miei occhi.

Mi fermai a metà corridoio appoggiandomi alla parete, chiusi gli occhi e respirai a fondo un paio di volte.

Calmati, calmati. Mi dissi. Avrei voluto lasciarmi andare, avrei voluto gridare, piangere persino, ma non potevo. Nessuno poteva consolarmi questa volta.

Non c'erano posti in cui correre, in cui rifugiarsi.

No, questa volta mi sarei occupato io degli altri. Mi sarei preso cura di mio padre, di Andres, di Friedrich, di Leonardo e anche di Alice. Non avrei permesso al mio dolore di bloccarmi.

Non ero più quel tipo di persona.

Respirai di nuovo a fondo e sentii i battiti del mio cuore rallentare.

Potevo farcela, dovevo farcela.

Ancora cinque secondi poi ti calmi del tutto. Mi dissi.

Cinque. Rividi il viso di mia madre l'ultima volta che l'avevo vista, prima che la rapissero.

Quattro. Rividi mio padre in lacrime quando aveva capito che non c'era modo per andare a salvarla.

Tre. Rividi la battaglia, tutti quei corpi a terra ormai immobili.

Due. Rividi il ragazzo che avevo quasi ucciso.

Uno. Rividi Alice stesa sul letto.

Zero. Riaprii gli occhi.

Tutto ciò che vedevo era il corridoio del centro di guarigione, i suoi colori chiari con tutte quelle diverse sfumature d'azzurro. Niente visioni dolorose, perfino il mio corpo sembrava stare meglio.

Mi rilassai. Succedeva sempre così, riuscivo a metabolizzare bene il dolore, il mio stesso sangue me lo imponeva, la mia razza me lo imponeva.

Riflettei su ciò che mi aveva detto mio padre, c'era qualcosa che non mi tornava.

Perché mi hanno mandato via? Mi domandai. Ora che mi ero calmato riuscivo a pensare con più lucidità e, ricordai, nemmeno nelle grandi riunioni mi avevano scacciato.

Nascondono qualcosa. Pensai con sorpresa.

Ero stato allontanato da loro solo una volta in tutta la mia vita: quando avevano deciso di sospendere le ricerche per mia madre.

Perciò, qualunque cosa fosse ciò di cui volevano parlare mi riguardava.

E non mi sarebbe piaciuta. 


//Spazio autrice

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<3


OCIGAM, La pietra dello spirito [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora