1. Tra alcool, scontri e voli

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Chloe

«Un altro, per favore!» esclamai al barista, mentre lo osservavo muoversi con scioltezza dietro al bancone.

Avevo già scolato un bicchiere di vodka, ma non mi era bastato. Dovevo averne un altro.

«Eccolo» rispose il ragazzo, porgendomi la mia ordinazione. Afferrai il bicchiere e mi voltai verso la pista.

A pensarci bene, non avevo i soldi per pagare tutto quell'alcool, ma poco importava. Le ragazze con cui ero andata in quel locale erano scomparse non appena vi avevamo messo piede, seguendo con due tipi mai visti prima. Erano alti e possenti, il sogno di ogni ragazza. Io, però, anche quella sera non ero in vena.

Portai il boccale alle labbra e tracannai il liquido in un sorso solo, pulendo con il dorso della mano le piccole gocce rimaste sul labbro inferiore.

Ma perché mi ero rifugiata in quella discoteca? Cosa pensavo di ottenere? Dopo tutto quello che era successo, non so perché fossi lì, non mi sarei nemmeno dovuta avvicinare a un luogo del genere. Eppure, quando le mie amiche mi avevano chiesto di passare una serata in discoteca, non ci ho nemmeno pensato.

Ad ogni modo, lì non c'era niente che la vita potesse offrirmi, per cui, ancora col bicchiere tra le mani, mi diressi verso l'uscita e cominciai a camminare senza una meta ben precisa.

Non ero ubriaca, ma nemmeno sobria. I primi sintomi dell'alcol stavano cominciando a farsi sentire, ma in quel momento non mi resi conto di essere brilla. Le gambe reggevano ancora il mio peso, anche se il mio corpo oscillava a ogni passo. La mia mente aveva iniziato a vagare nei meandri più profondi del mio io interiore, riportandomi alla mente dei ricordi che avrei preferito seppellire all'istante. Ma quello era l'effetto dei due boccali di vodka. Effettivamente, non reggevo l'alcol molto bene. Non sapevo nemmeno dove stessi andando.

«Tesoro, hai bisogno di una mano?» Un ragazzo alto e bruno, dalla corporatura robusta, apparve alle mie spalle. Forse il suo essere così possente avrebbe dovuto spaventarmi, ma non lo fece, e per questo dovetti ringraziare la vodka.

«Me la cavo benissimo da sola» risposi, continuando per la mia strada.

Eppure quel tipo non mi mollava, continuava a starmi appiccicato come una cozza, e io glielo lasciai fare.

L'importante era che non mi desse fastidio. Finché fosse stato muto e con le mani a posto, poteva seguirmi come voleva.

In quel momento mi resi conto di essere arrivata alla fine del marciapiede. Ora avevo due possibilità: tornare indietro o attraversare. Nessuna delle due sembrava una buona scelta. Tornando verso la discoteca, avrei dovuto fare i conti con quel tipo ancora alle mie calcagna e non avevo voglia di picchiarlo. Attraversando, avrei potuto rischiare di essere investita, data la mia situazione non troppo stabile.

Alla fine decisi di rischiare.

Proseguii, incurante del ragazzo che fino a quel momento era stato alle mie calcagna e che adesso gridava di stare attenta. Spostai lo sguardo alla mia destra non appena sentii il rumore delle gomme di un'auto stridere sull'asfalto. Una macchina scura simile a una Jaguar stava puntando nella mia direzione e io non seppi fare altro che restare immobile ad aspettare l'impatto, come una perfetta idiota.

Non so se passarono minuti o secondi, ma so che per la prima volta non sentii nulla, soltanto il vuoto e un senso di calma. Ero in pace con me stessa.

Prima di pensare alla mia vita e a cosa avrei lasciato, pensai a lui.

Non volevo vivere in questo mondo da sola, volevo volare via anche io, lontano. Avevo voglia di esplorare un nuovo mondo, magari proprio con lui. Io sapevo che mi stava aspettando.

Due cuori sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora