5. Intolleranze e vodka

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Chloe

Si era portato via quel bambino innocente e io l'avevo lasciato fare, benché non mi sembrasse che Noah avesse tutta questa voglia di cambiare posto. Lo portò con sé nella cabina pilotaggio e io rimasi da sola. Non c'erano bambini piccoli, a parte Noah, su quel volo, così non ebbi granché da fare se non sedermi e cominciare a riflettere.

Ritornai con la mente alla sera del quasi-incidente e d'improvviso mi sembrò di ricordare tutto. Ma certo, solo una persona spericolata come Dawson Flame poteva essere alla guida di quella maledetta auto.

Stavo facendo luce sui miei pensieri, quando con la coda dell'occhio lo vidi avvicinarsi e sprofondare nel sedile accanto al mio.

«Non dovresti pilotare l'aereo?» gli domandai senza voltarmi, continuando ad osservarlo tramite il suo riflesso nel finestrino.

«Ci sta pensando Phil.»

Sperai che a Phil venisse un grande attacco di dissenteria, così che sarebbe dovuto correre al bagno e Dawson avrebbe potuto prendere il suo posto e volare al largo da me.

«Noah non può mangiare troppe caramelle, gli fanno male.»

Male tipo?, avrei voluto chiedergli, ma non ce ne fu bisogno perché continuò da sé.

«Soffre di intolleranza, tipo diabete, ma non proprio.»

Accipicchia.

Come poteva essere tolto così tanto a un esserino così piccolo? Mettiamoci in chiaro, le caramelle non sono chissà cosa per noi, magari, ma per un bambino rappresentano tanto, le vedono un po' come un premio. Forse perché i genitori gliele propinano sempre quando hanno fatto bene qualcosa. Ad ogni modo mi faceva tenerezza, non si poteva essere così piccoli e soffrire già di diabete, proprio no.

«Era piccolino quando scoprimmo tutto. Aveva mangiato troppe Haribo» lo vidi rabbuiarsi mentre mi raccontava la storia di Noah. «Gli avevano fatto male, avevano sbalzato totalmente i valori della pressione e non solo, così svenne. Impallidì a tal punto che per un secondo lo credetti morto. Così saltai in aria, reagii di riflessi, lo presi in braccio e corsi in garage, verso l'auto, urlando a mia sorella di riprendersi e di mettersi alla guida. Non ce la fece, così guidai io. Ero un ragazzino, non avevo nemmeno la patente e non avevo mai impugnato un volante prima, ma non mi importava. Dovevo farlo per forza, era questione di vita o di morte. All'ospedale lo tennero sotto osservazione per ore, fecero mille esami ma nessuno sembrava volerci dire qualcosa e l'ansia ci stava divorando, poi uscì un dottore e ci avvicinò. Ci disse che aveva una forte intolleranza a una strana sostanza che si mette nelle caramelle, tipo i coloranti, ma non proprio.»

Ascoltai tutto in silenzio e notai che mentre parlava si passava spesso una mano tra i capelli, probabilmente per il nervosismo. Più raccontava più io rabbrividivo. Poteva il destino essere davvero così crudele con un bambino?

«Mi dispiace, Daw. Se avessi saputo non mi sarei mai permessa di comprargli quelle caramelle» mi scusai amareggiata, quando ebbe terminato la sua storia.

Si voltò verso di me, mi posò una mano sulla gamba e poi mi sorrise, cercando di rassicurarmi.

«Non è colpa tua. Non potevi saperlo.»

Annuii, ma nonostante ciò non fui confortata. Continuavo a credere che non fosse giusto, ma c'è mai un limite tra giustizia e ingiustizia?

«Quindi niente caramelle ma tanto cioccolato.»

«Esatto.»

«Beh, il cioccolato è più buono delle caramelle» annunciai sporgendo il labbro in avanti. Adoravo il cioccolato. Lui si abbandonò ad una risata inclinando la testa all'indietro prima di voltarsi nuovamente verso di me. Guardai fuori dal finestrino, sotto di noi si vedeva la città, stavamo per atterrare a New York.

«E dimmi di te, invece» esordì dopo qualche minuto di silenzio. «Che ci facevi ubriaca fradicia in mezzo alla strada, l'altra sera?»

Sentii l'imbarazzo salire fino alle punte dei capelli e il calore che si propagò sul volto mi fece intendere che stessi arrossendo.

«Ehm...»

Non ne volevo parlare, ma lui mi aveva raccontato di suo fratello e adesso una spiegazione gliela dovevo, no?

«Cercavo di dimenticare» dissi alla fine.

«Dimenticare?»

Annuii.

«Ero andata in discoteca con le mie amiche per festeggiare il mio nuovo lavoro, ma come al solito dopo nemmeno dieci minuti rimasi da sola. Loro trovarono due ragazzi con cui divertirsi e si confusero tra la folla. Mi diedi alla vodka, non giudicarmi...»

«Non ti giudico» mi interruppe, come se per lui fosse di fondamentale importanza che lo sapessi. Proseguii.

«Non bevo mai ma quella sera ne avevo bisogno. Avevo promesso a una persona che il mio futuro sarebbe stato la cosa più importante e che lo avrei scelto da sola, ma non stavo mantenendo quella promessa, lui non c'era più, mi mancava e nel frattempo mi sentivo anche tremendamente in colpa per le scelte che stavo compiendo. Così bevvi, poi uscii dal locale e notai che un tipo mi seguiva. Non sapevo come seminarlo e così m...»

«Così ti sei gettata in mezzo alla strada.»

Messa in quel modo suonava piuttosto male.

«Esatto.»

«Avrei potuto investirti» si rabbuiò di nuovo.

«Sì, mi avresti avuta sulla coscienza per tutta la vita» scherzai e lui rise di nuovo.

«Non me lo sarei mai perdonato» mormorò incatenando i miei occhi ai suoi, poi Phil avvisò che stavamo atterrando e Dawson mi lasciò riposare mentre lui tornò in cabina pilotaggio per dare una mano al suo amico.

E fu allora che ripensai alla nostra conversazione e mi diedi della stupida, gli avevo detto troppo, gli avevo raccontato persino di lui. Nessuno sapeva di lui ad eccezione delle mie migliori amiche e della mia famiglia. Che cosa mi stava succedendo?

Angolo autrici
Ebbene sì, dopo cinque mesi e più siamo finalmente tornate, e stavolta per restare! Speriamo di non esservi mancate troppo (ma chi vogliamo prendere in giro? Certo che vi siamo mancate!) e contiamo su di voi perché ci arrivino tante notifichine per quella stellina lì sotto!
Grazie di cuore per averci aspettate.
Vi vogliamo bene!

Vi vogliamo bene!

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Due cuori sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora