LE BAMBOLE

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-È stata molto cattiva mamma?- disse camminando in un andirivieni nevrotico, aspettando impaziente il permesso per entrare nella stanza, aveva lo sguardo basso e si torturava una ciocca di capelli inquieto.
-Quella lurida sgualdrina voleva lasciarci, figlio mio- rispose la madre -vieni cucciolotto mio, vieni qui vicino a me- disse allungando una mano rugosa smaltata color pesca, accarezzandosi la gonna plissettata invitò il figlio a mettersi accanto a lei. Il ragazzo percorse il salotto stile rococò, che lo riportò indietro nell'epoca del 1730 in un secondo. Lui lo sapeva. Era la stanza preferita della madre, nessuno doveva entrarvi senza permesso, e nessuno doveva toccare le bambole... Erano le ultime cose appartenute a Beatrice, l'ultima volta lo scoprì a caro prezzo.

La madre era al piano di sopra, nella sua stanza da letto. Si era stesa a letto dopo aver preso le dieci gocce di felicità che le aveva prescritto il dottore dopo l'avvenuta depressione per il suicidio del marito.
Una folata di vento entrò nella camera facendo cigolare la cerniera della vecchia porta sorprendendolo. Lui, era di spalle, lì accovacciato vicino il divanetto bluette intento a giocare indisturbato. La pesante tenda damascata era aperta. La camera era pervasa dalla luce pomeridiana. Nell'aria i piccoli granelli di polvere roteavano e giocavano a rincorrersi. Se lo avesse scoperto la madre, sarebbero stati guai. Era silenzioso, sapeva che lei avrebbe dormito almeno per tre ore di fila, il tempo necessario per rimanere solo con loro. Voleva giocare solo con loro. Eccitato prese una bambola, e con delicatezza, la pettinò con cura disfacendo i ricci, lavò i suoi capelli. Qualcosa in lui stava cambiando. Annusava, lisciava e pettinava con gesti amorevoli, quasi gli stessi che la madre riservava a lui in segreto. Riservò a ognuno di loro lo stesso trattamento. Finito, il rito le dispose a loro posto. Era catturato dalla bellezza dei loro occhi. Come in trance le osservava poggiato con il mento sul divano. Una forza estranea lo tirò indietro sbattendolo dall'altra parte della stanza, facendoli urtare la testa. Lui rimase per terra tramortito dal colpo preso alla testa. Un'ombra minuta si avvicinò e con voce tremante gli disse:
-Brutto piccolo bastardo, non ti azzardare a toccare ancora le sue bambole o sarò costretta a ucciderti-. Lo prese per una caviglia e lo trascinò fuori dalla stanza lasciandolo nella penombra dell'ingresso.

Sguardi severi e impettiti in pose altezzose, incorniciati da imponenti contorni elaborati, lo osservavano torvo, pesanti tendaggi damascati blu coprivano metà finestra lasciando la sala in penombra. Era seduta su di una poltrona bluette con intarsi e decori dorati. Difronte su un divano anch'esso bluette c'erano adagiate con cura una decina di bambole di porcellana. Avevano tutte i capelli biondi e i lineamenti chiari, adornate di gioielli e vestiti ricamati. Come un bravo figlioletto lui lo fece, si rannicchiò sul pavimento freddo poggiando la testa sulle gambe secche della madre. Lei iniziò ad accarezzarli la testa con fare amorevole.
-Ci ha tradito figliolo- disse continuando le carezze con la voce supplichevole.
-Mamma la devo punire! Lo devo fare per te!- disse lui con voce infantile.
-No, figliolo mio, dobbiamo avere pazienza, non dobbiamo farle del male-
-Allora, potrò averla?- chiese alzando la testa dalle gambe della madre.
-No!- gli disse tuonando con la voce e mollandoli un ceffone in pieno viso. Lui cadde indietro, strinse le gambe al petto e frignando, tirò su col naso e iniziò a dondolarsi nevroticamente. Lei si alzò e puntandoli un dito bianco scheletrico gli disse:
-Tu non la toccherai! Farai il bravo bambino con lei. Ora alzati. - Lui si sollevò dal pavimento con lo sguardo spaventato.
-Mi deludi figlio mio- gli disse dirigendosi al tavolino posto al centro della stanza. Sopra adagiata con cura, c'era una tovaglia finemente ricamata, al centro del tavolino giaceva un servizio da thè in fine porcellana. Prelevò la teiera e si versò il liquido caldo nella tazza. Con movimenti delicati e fermi prelevò lo zuccherò né verso un cucchiaino. Rimestò senza far rumore e lo posò sul piattino. Il cucchiaino tintinnò sulla porcellana. Prelevò con grazia la tazza e si diresse alla poltrona con calma placida ignorando il figlio.
-Ti prometto che non lo farò più!- disse ancora piagnucolando il figlio, gli occhi glaciali della madre lo ammonirono.
-Perfetto, adesso sì che sei il mio bambino, su, vieni qua accanto a me- disse richiamandolo accanto. Camminò con gli occhi bassi e si adagiò accanto alla madre. Lei bevve il the compiaciuta, e continuò ad accarezzare il figlio sulla testa.

**** CIAO!****
SONO DI NUOVO QUI! FINALMENTE HO RIPRESO A SCRIVERE E SPERO DI RIUSCIRE A PORTARE A TERMINE ANCHE QUESTO PROGETTO. GRAZIE PER ESSERE ARRIVATO/A FINO QUI!
VORRESTI CONTINUARE A LEGGERE? NON DEVI FAR ALTRO CHE VOTARE E DIRMELO...PERCHÉ COSÌ IO POSSO CAPIRE SE È LA STRADA GIUSTA. GRAZIE PER IL TEMPO CHE MI STAI CONCEDENDO.
CIAO FIORENTINA.

Il gioco del silenzio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora