Il mio nome è Andreas, ho quarant'anni e voglio raccontarvi la mia storia. Prima di iniziare vi avverto: non sarà piacevole, la mia vita non è una di quelle commedie romantiche dove lui lascia tutto, raggiunge la donna che ama all'aeroporto ed ignari del resto delle persone si baciano dichiarandosi amore eterno, per vivere poi felici e contenti. Ecco, quello non sono io e non lo sono mai stato.
La mia storia inizia più di cinque anni fa, quando sono stato aggredito una sera in un vicolo buio, ho lottato tra la vita e la morte per quasi due anni, e alla fine ho vinto io. Se vincente può definirsi quello che sono diventato.
Ero uno studente di medicina, ogni giorno andavo in università a piedi, non che mi piacesse camminare, anzi, lo odiavo, ma il mio vicino, cavolo, il mio vicino, era sexy da fare schifo e io adoravo guardargli il culo. Era come una routine: mi svegliavo, facevo colazione, uscivo in giardino e attendevo di vederlo passare, per andargli dietro come un cagnolino che insegue l'osso. Avevo cercato più di una volta di attaccare bottone, senza molto successo. Ma quella sera gli avrei parlato, alla festa di fine estate, me lo ripetevo da oltre un mese, guardandomi allo specchio. Lo avrei raggiunto, mi sarei presentato e...
Ma non successe nulla di tutto ciò, perché un paio di ragazzi decisero che la mia vita era poco importante, che ero sbagliato. Che non meritavo di vivere solo perché, secondo loro, ero diverso. Come se essere gay fosse una malattia contagiosa. Non sto a descrivere il dolore provato per terra, mentre rannicchiato cercavo di difendere le parti vitali del mio corpo, né tanto meno voglio ripetere gli insulti, non è di questo che vi volevo parlare. Vi volevo raccontare del destino, sapete quel burattinaio che si diverte a tirare le fila della nostra vita, aggiungerei quello stronzo, che manovra la tua vita. C'è chi dice che il destino è già scritto e chi dice che il destino lo scriviamo noi. Di certo chi ha scritto il mio era ubriaco.
La sera della festa, dopo alcuni bicchieri di Mojito presi coraggio, e raggiunsi il mio vicino di casa. Credetemi, se da dietro era figo, cazzo, il lato A era da urlo. Occhi neri come il carbone, i capelli lunghi e leggermente mossi. Stavo avvicinandomi quando notai che Evelin, la mia migliore amica, era veramente molto ubriaca e rischiava di farsi male. Quello che non avevo calcolato era che da ubriaca parlasse troppo.
Mi gettò le braccia al collo, urlando che era un peccato che fossi gay, perché ero il ragazzo più dolce che avesse mai conosciuto. Non era di certo quello il modo in cui avrei voluto fare coming-out, anzi a dirla tutta non lo volevo fare, ma il danno ormai era fatto, e mentre la riaccompagnavo a casa, pensavo solo al tornare indietro e parlare con il mio vicino, ma come vi ho già detto, ciò non accadde.
Il periodo successivo al coma lo passai in depressione, nell'aggressione una parte del femore si era quasi disintegrata, e ciò mi avrebbe portato a zoppicare per il resto della mia vita, ma avevo stretto i denti, mi ero impegnato per rientrare all'università, solo per scoprire che il mio vicino, Jared, aveva cambiato casa e lasciato i corsi. Il mondo mi crollò addosso, sapete? L'unica cosa che mi aveva spinto a reagire all'aggressione ora non c'era più, e io non conoscevo nulla di lui. Passarono gli anni, mi laureai, ed entrai nella equipe del Dottor Carnen, un luminare di eccezionale capacità e carisma. E mi dimenticai di Jared. O almeno così credetti. Perché si sa, quando meno te lo aspetti il passato viene a bussare alla porta. A lavoro sapevano tutti il mio orientamento sessuale, così come sapevano della mia aggressione, non che lo tenessi nascosto, anzi. Tenevo spesso lezioni tra i giovani, spiegando l'omofobia, e tutto quello che comportava.
Ero di turno in ospedale quando il mio cercapersone trillò, svegliandomi. Avevo appena chiuso gli occhi. Imprecando cercai il camice lo indossai quando fui raggiunto da due infermiere. La neve aveva causato un grosso tamponamento a catena, e stavano arrivando da noi diverse ambulanze. Mi svegliai immediatamente, iniziando ad impartire ordini. Trascorsero così le successive ore. Quando finalmente riuscii ad allontanarmi un attimo, raggiunsi i distributori automatici. Avevo tremendamente bisogno di caffeina, il turno sarebbe stato ancora lungo. E fu lì che il mio cuore perse un battito. Lo riconobbi subito, anche se erano passati diversi anni, Jared era lì, seduto su una sedia, con un vistoso taglio sulla fronte, si guardava in giro spaesato. Era bello come allora, i capelli erano più corti. Abbandonai l'idea di prendere il caffè e mi avvicinai. Volevo essere certo che fosse lui, prima di fare una delle mie madornali figure di merda. Quando incrociai i suoi occhi non ebbi alcun dubbio, per un attimo mi sembrò quasi di sentire la musica della festa, ma quando feci un passo avanti zoppicando, venni trasportato nella realtà.
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Raccontando l'Amore (One-Shot Gay)
Short StoryPiccoli racconti, che non seguiranno un filo logico, auto conclusivi. SI parla di amore, storie di ragazzi che cercando la felicità o cercano di mantenersela.