Capitolo 2.

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Una lacrima comincia a rigarle il viso.
Nelle lacrime si riflettono tutti i colori vivaci del tramonto: l'arancione, il rossastro e un po' di giallo. Sembrano gocce di miele.
È un brutto periodo, non ho intenzione di chiederle perché sta piangendo. So benissimo perché piange.
Le asciugo le lacrime e lei si butta sul mio petto.

"È tardi. Rientriamo."
Non voglio che stia al freddo.
Rientriamo nella stanza d'ospedale, lei si sdraia nuovamente sul lettino mentre io mi dirigo verso la porta solo dopo averle dato un bacio.
"Domani vengo tardi, perché devo studiare un sacco."
Lei fa un'espressione un po' infastidita ma fingo di ignorarla ed esco dalla porta salutandola.

Le pagine del libro di filosofia sembrano non finire più. Ogni volta che ne studio una sembra che ne compaiano altre dieci nuove da studiare. Non ho più voglia di continuare a studiare. Chiudo il libro, lo butto sul letto e prendo in mano il cellulare.
Sono le 17.46. Alaska mi ha scritto un messaggio chiedendomi quando sarei arrivato.
"Tra cinque minuti parto da casa" le rispondo.
Mi vesto velocemente, mi spruzzo un po' di profumo, vado in cucina, afferro due albicocche, le metto nello zaino ed esco di casa.
Alle 18.03 sono in ospedale.
Salgo le scale fino ad arrivare al terzo piano, stanza 467.
Mi sta già aspettando vicino alla portafinestra che porta sul terrazzo. Usciamo ad ammirare il tramonto e prendo dallo zaino le due albicocche e le ricariche per la sua macchina fotografica instantanea che ho comprato all'uscita della scuola.
"Grazie."
Mi da un bacio. I suoi occhi sembrano quelli di un bimbo a cui hanno appena regalato il giocattolo che voleva tanto.
Mangiamo le nostre albicocche.
"Click"

Il sole in AlaskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora