Egregio Direttore,
mi rivolgo a lei con insolito fare autorevole solo per renderla partecipe della mia regressione.
Ad oggi, ventitré dicembre '871, trentacinquesimo giorno d'inchiesta, abbiamo sperimentato già nove metodi diversi per sfondare la linea di difesa nemica.
Nessuno ha dato esito positivo.
Gli scontri frontali sono stati per lo più evitati tanto dai soldati austriaci quanto dai commilitoni italiani. Però, com'è facile intuire, non è stato possibile limitare a zero la quantità di tali episodi.
Due volte gli eserciti si sono incrociati durante l'avanzata, su due fronti simili ma ad altitudini diverse: a Gorizia, sull'Isonzo, e più in alto sul carso. Ho partecipato come paramedico e infermiere alla prima delle due battaglie.
Siamo arrivati all'argine che volge verso il territorio alleato dieci lune e undici soli fa.
Ricordo bene il tepore della luce invernale, l'ultima bellezza contrapposta alla barbarie.
Un cielo tinto d'indigo e puntellato da efelidi bianche.
Giungemmo alle dieci della sera e già l'Isonzo separava le linee di tiratori austriaci dal marasma degli artiglieri italiani. Entrambi i reggimenti stavano immoti, appostati agli antipodi del fiume.
E il silenzio dominava le linee aspre del carso. Deformava il filo rotto dell'orizzonte.
Si fecero le undici e poi mezzanotte senza che un singolo bossolo esplodesse e toccasse il terreno.
Sono rimasto nella tenda dell'infermeria a lucidare i bisturi fino ad allora.
Ogni tanto uno sbuffo di vapore faceva capolino dagli scavatori meccanici nelle retroguardie, se ne potevano udire due ogni venti minuti.
Spaccavano il secondo.
Di botto però i bisbigli dei fanti che presidiavano l'ospedale da campo si erano evoluti in un vociare costante.
Si parlava di caricatori, di munizioni sfuse, di granate senza sicura.
Passarono altri due fischi.
Poi, al sesto sibilo delle macchine, il primo battaglione del quinto reggimento italiano fece fuoco e il nemico fece saltare il ponte di Gorizia.
Urla indistinte presero il posto della caciara, luci cangianti permearono dalla prima linea. Un misto di dolore e rabbia materiali.
Ed io riuscivo a udirle perfino dal limite delle linee di battaglia, Sir.
I proiettili sorvolavano i capi di entrambi gli schieramenti, che erano separati solo da un sottile lembo d'acqua.
Nel giro di dieci minuti iniziarono a giungere i primi feriti. Con un ritmo di due mortali ogni mezz'ora.
Il sangue a fiotti sulle graminacee appassite.
Solo Dio sa come ne siamo usciti sani di mente io e i miei colleghi.
Le perdite a oggi superano ogni stima approssimata dagli strateghi e dai miei analisti. Abbiamo subito le conseguenze di una lentezza d'azione ingiustificabile.
Il nemico era ben organizzato già al nostro arrivo, il ponte era stato riempito di esplosivo fino alle fondamenta.
Ma questo è già un avvenimento del passato per i soldati che mi stanno facendo compagnia mentre scrivo sulla carta straccia.
Conviviamo in questo minuscolo pertugio di roccia, ghiaia e terra da più di cinque lune, ormai.
I ritmi frenetici dei primi giorni si sono disgregati subito dopo la presa dell'Isonzo e Gorizia ci appare più lontana ogni giorno che passa.
Il carso, poi, redattore, è quanto di più simile all'inferno io abbia mai visto. L'odore di sangue e umana miseria permea dal granito e i lamenti dei più giovani non si sprecano durante le notti.
La temperatura è una variabile costante e il meteo costituisce anch'esso un'assurda riproduzione della roulette russa.
Quella che al Capo di Stato Maggiore si era presentata come una guerra di scontro frontale si è ormai ridotta ad un ritmico asserragliarsi di trincee e buchi di fango.
Provano a buttarci giù, capo, ci provano in tutti modi.
La cadenza degli attacchi è labile: tre notti fa si andava dalle due alle tre incursioni all'ora, ad oggi, da più di sei ore, non un singolo cadetto austriaco s'è scagliato contro la prima linea.
Ma non per questo la situazione è migliorata.
L'apporto di viveri e polvere nera è scarso, quasi inesistente, e quel poco che avanza di quest'ultima risorsa è stato lasciato in mano agli artificieri, insieme ai chiodi e ai bulloni che avanzano dalla costruzione delle fortificazioni.
Cerchiamo di non buttare via nulla. Ogni piccolo frammento di metallo o granito è una materia prima utilizzabile per la creazione delle Latte: rimasugli dello scatolame metallico prodotto ad ogni pasto riempiti di polvere da sparo e minuzie d'acciaio.
Stanano gli austriaci come ratti dallo scantinato, quelle maledette.
Costruirle, però, porta via molto tempo, soprattutto considerando il difficile razionamento degli esplosivi.
Se siamo fortunati, riusciamo a produrre cinque ordigni per trincea in una giornata.
Ogni singolo colpo è considerato fatale.
Sfondare la linea nemica è l'obiettivo più importante, quello per cui ogni ragazzo o quasi, qui, è pronto a dare la vita.
Come chi ha già dato la vita per costruire le fortificazioni dove operiamo adesso.
Le scavatrici Paul and Larry's sono riuscite a malapena a scalfire il primo strato di roccia calcarea. "Punte da trapano troppo morbide" hanno detto gli addetti subito dopo il primo tentativo.
Il resto è frutto di picconate, badile e muscoli.
Abbiamo allestito una prima trincea di soccorso e ricovero, quella dove opero durante gli scontri frontali. Non vi metto piede da più di cinque giorni.
Ora sta calando la notte, sir, ci aspettiamo incursioni. Le Latte non basteranno di certo per il contrattacco e i nostri fucili sono quasi a corto di proiettili.
Impugnerò il mio Vetterli-Bertoldo e mi accuccerò sotto terra come un verme, redattore. L'arma è quanto di più inadeguato all'assalto ci potessero fornire, avremmo bisogno davvero delle semiautomatiche. Ricaricare manualmente è una perdita di tempo che spesso e volentieri ci condanna alla tomba.
Oh, mi chiamano i soldati Ronda e Tripoli, il mio turno di guardia è finito.
Le lascio il più grande augurio per le vendite del quotidiano. Spero di non cedere prima del previsto, le notti qui sono gelate. In ogni caso ho bisogno di riposo.
In fede e con grande rispetto,
Ernst McKelly.
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Ernst - Cronache dal fronte.
Science FictionErnst. Una guerra alle porte dell'Italia dopo soli dieci anni dall'unione. Un reporter britannico in trincea. Invenzioni vogliose di sangue, carbone e olio motore. Guerriglia e polvere sulle cicatrici. Una miscela di carburanti e follia umana den...