Mi è bastato un minuto

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MI E' BASTATO UN MINUTO


"La nostra unica gioia Sta soltanto nel mal."


Con Nicholas, un uomo smilzo di quaranta anni, un po' allampanato e sempre di corsa, avevo deciso che come giorno libero avrei preferito il venerdì e che i giorni dispari avrei lavorato di pomeriggio e i pari di mattina, potevo cambiare i miei turni se avevo problemi con le lezioni e dovevo sempre avvisarlo almeno tre ore prima se non potevo andare a lavorare.
Tutti nel negozio mi avevano accettato di buon grado, non mi chiamavano Harry ma Harrì con un marcato accento francese e a me andava bene, anzi, mi faceva sentire più integrato in questa nuova vita.
Taylor mi seguì nei miei primi giorni così da spiegarmi come muovermi e come servire ai tavoli e come pulire dopo fine turno.
Mi trovavo bene, non avevo ancora detto agli altri che avevo trovato un lavoro perché sapevo cosa avrebbero detto, quindi sgattaiolavo semplicemente via dalla stanza, oppure dicevo che andavo a fare un giro e loro mi lasciavano fare tranquillamente.
Quella domenica mattina stavo servendo dietro il bancone, non ero ancora bravissimo con i caffè in stile francese, ma mi stavo esercitando e all'improvviso Taylor mi si avvicinò incupita.
"E' successo qualcosa?" le chiesi, preoccupato.
"E' appena entrato un cliente che odio con tutta me stessa e non ho voglia di servirlo."
"Lo prendo io, non preoccuparti." Mi sorrise, nuovamente raggiante e mi lasciò un dolce bacio sulla guancia passandomi il palmare su cui prendevamo gli ordini.
"Sei un angelo, è al tavolo quattro." Uscì da dietro al bancone e andai distrattamente al tavolo quattro con lo sguardo basso sul palmare che non voleva collaborare.
"Buongiorno, cosa le porto?" chiesi, ovviamente in francese, alzando lo sguardo sul misterioso cliente e rimasi di sasso.
"Mi prendi in giro?" la sua risata riempì l'intero negozio a tal punto che un paio di clienti si girarono a guardarci.
"Che ci fai qui Louis?" chiesi a voce bassa.
"E' il mio caffè letterario preferito, piuttosto, che ci fai tu qui."
"Sto facendo una settimana di prova come cameriere."
"Questa si che è bella."
"Non devi dirlo agli altri."
"Loro non lo sanno? E perché?"
"Perché se sanno che ho trovato lavoro mi costringeranno a lasciarlo perché non potrò passare molto tempo con loro a far baldoria."
"Non hanno tutti i torti, sei qui praticamente in vacanza, sei probabilmente il primo ragazzo in erasmus che conosco ad aver cercato lavoro."
"Ho semplicemente visto il cartello sulla vetrina e ho voluto provarci." Mi strinsi nelle spalle, sospirando.
"Come ti pare, posso avere un caffè in tazza grande?"
"Certo, ti serve altro?"
"No, credo basti." Annuì, segnandolo sul palmare e mi girai diretto al bancone.
"Anzi, sto aspettando che tu mi scriva." E il mio cuore sussultò, perché faceva così?
Ci godeva a stuzzicarmi, a infastidirmi in quel modo? Non gli risposi e raggiunsi Taylor dietro al bancone.
"Ma lo conosci?" mi chiese, sorpresa.
"Sì, andiamo nella stessa università."
"Scusa se ho parlato male del tuo amico."
"Non è mio amico." Liquidai velocemente il discorso e per fortuna lei non replicò, capisco perché Taylor non riusciva a sopportarlo, a stento ci riuscivo io, ma forse era solo perché i miei sentimenti nei suoi confronti non mi erano ancora chiari, ma nulla di lui era chiaro, era fatto di sfocature, di dubbi, di bellezza accecante, di astuzia e malizia e io non sapevo nulla di tutte quelle cose.
Portai il caffè in tazza grande al suo tavolo e lo posi davanti a lui con attenzione.
"Tieni il resto." Mi passò una banconota da dieci euro e lo guardai confuso.
"Non posso tenere 8,50 di resto, Louis."
"Potresti offrirmi la cena stasera così siamo pari." Ero pronto a ribattere, ma forse andare a cena con lui mi avrebbe dato la possibilità di fargli delle domande di sgrovigliare i miei dubbi.
Da dietro il bancone lo osservai per tutti i trenta minuti che rimase seduto al tavolo, era lì tranquillo a sorseggiare il suo caffè e a leggere, avrei tanto voluto sapere il nome di quel libro, sapere cosa ne pensava, se lo stesse leggendo per curiosità o per l'università.
Mi stavo rendendo conto che la questione Louis mi ossessionava più del dovuto.
Quando finalmente si alzò, s'infilò gli occhiali da sole e si avvicinò alla cassa, dove lo stavo aspettando.
"Resto o cena?" mi chiese e odiavo non poter vedere i suoi occhi dietro quelle orribili lenti scure.
"Cena." mi limitai a dire.
"Allora a stasera, signor Style." e senza aggiungere altro uscì dal negozio.
Avevo appena acconsentito a un appuntamento con Louis Tomlinson?

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