Bellatrix Lestrange - Infanzia

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Mi sporsi dalla finestra della torre: ai piedi del castello infuriava la battaglia, la battaglia che avrebbe deciso le sorti del mondo. Vidi un ragazzo, poco più grande di un puntino, venire avvolto dalle fiamme. Non riuscii a trattenere una risata. Mi scostai i capelli ribelli dal viso, chiudendo la finestra dietro di me, ritrovandomi in una stanza simile ad un ripostiglio. Estrassi la mia bacchetta, sorridendo: questo posto avrebbe bruciato benissimo. Risi ancora, emozionata al solo pensiero di tanta distruzione. Avanzai verso il centro del solaio, dove stava un vecchio armadio malconcio; decisi che sarebbe stato il primo a bruciare. Scoppiai a ridere per la terza volta, scagliando una colonna di fiamme scarlatte contro quel decrepito mobile, ma questo non prese fuoco. Sbuffai irritata, avvicinandomi di più, quando l'armadio iniziò a tremare. Puntai la bacchetta, pronta a pronunciare l'incantesimo di morte, ormai conosciuto come una filastrocca familiare, ma quando le ante si spalancarono, rimasi impietrita.

<< P-Padre? >> balbettai esitante. Non poteva essere davvero lui.

Quel volto tanto temuto mi sorrise. Lui non mi aveva mai sorriso. Mai.

Mi preparai a distruggere quel che era sicuramente un vecchio molliccio, abbandonato in quel trasandato ripostiglio in cima ad una torre, ma un colpo scosse tutto l'edificio. La torre iniziò a tremare, facendo franare parte del soffitto. Colta di sorpresa, caddi al suolo, sbattendo la testa, e tutto diventò nero.

<< Padre, perché i mezzosangue vanno uccisi? >> chiesi io. Mi trovavo nella mia cameretta, quella nella vecchia casa Lestrange.

<< Sono impuri, Bellatrix. Sono feccia. Hai dieci anni ormai, avresti dovuto averlo già capito da te. Come sempre, sei una delusione >> rispose brusco mio padre, uscendo dalla stanza. Abbandonai la testa sul cuscino duro del letto, riflettendo su quelle parole. Era veramente così? In realtà, anche se non potevo certo dirlo né a mamma né a papà, io non ci credevo. Pensavo che i mezzosangue fossero come tutti gli altri, che era strano perseguitarli, ma se la mia famiglia avesse scoperto i miei pensieri... all'epoca non osavo pensare a cosa sarebbe potuto succedere, ma purtroppo lo scoprii poi.

-

Mi trovavo nel parco davanti a casa, accasciata su una panchina, con il ginocchio dolorante. Ero caduta mentre giocavo da sola, ero sempre da sola. Nascosi il mio volto sotto alla chioma di ricci neri, sperando che nessuno mi vedesse piangere, quando sentii qualcuno sfiorarmi la spalla:

<< Tutto bene? >> mi chiese. Ma io non gli risposi.

<< Guarda che vedo che stai piangendo, anche se ti nascondi. Come ti chiami? >> fece di nuovo.

A quel punto alzai lo sguardo verso quella voce insistente, trovando un bambino di circa la mia età, con i capelli biondi come il grano.

<< Bellatrix... >> gli risposi, titubante.

<< Ciao Bellatrix, posso chiamarti Bella? >> io annuii, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.

<< Il mio nome è Mitch >>

<< Ciao Mitch... >> non ero mai stata brava con gli sconosciuti, o meglio, non avevo mai avuto occasione di parlarci.

<< Allora Bella, sai giocare a Mago-Spezza? >> mi chiese aprendosi in un sorriso rassicurante, ed io annuii, sorridendo timidamente a mia volta.

-

Era passato un anno dall'incontro con Mitch, e la nostra amicizia si era rafforzata ogni giorno di più. Era una calda serata d'estate, ed eravamo seduti sulla stessa identica panchina dove ci eravamo incontrati la prima volta.

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