Cocito

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Guidava piano, pianissimo, il limite di velocità era di cinquanta chilometri orari, ma lei non si azzardava a superare i quaranta. Quelle poche macchine che percorrevano la sua stessa strada la sorpassavano urlando insulti o suonando all'impazzata i clacson. Loro non potevano capire e lei serbava rancore verso troppe persone, non c'era spazio per altra rabbia, quindi li perdonò. Finalmente aveva raggiunto la campagna. Una nebbiolina leggera aleggiava sopra i campi, secchi e aridi, e avvolgeva i rari casolari, ancora dormienti. L'orologio digitale sul cruscotto le diceva che non era ancora l'alba, ma per quanto ne sapeva lei quel cielo così grigio poteva anche celare un sole splendente. “Meglio così, l'universo mi sta rendendo le cose più facili del previsto.” Un improvviso attacco di claustrofobia la fece boccheggiare: abbassò tutti i finestrini. L'aria gelida di dicembre, come un'onda, si riversò nell'abitacolo, pungendole il viso e le gambe nude, andando a stanare fino al più piccolo residuo di calore rimasto nella vettura, eliminandolo. Rabbrividì.
Rallentò scendendo ai trenta, aveva quasi raggiunto la sua destinazione ma non era ancora pronta a lasciarsi alle spalle quel paesaggio, non ne era ancora sazia. Decise di accostare e farsi l'ultimo tratto a piedi. Lasciò lì l'auto, con le chiavi inserite e i vetri abbassati: uno scheletro metallico dagli occhi cavi che la osservava allontanarsi, indifferente. “Sei sleale, dopo tutti questi anni, neanche tu,...neanche tu...” rassegnata le voltò le spalle. Si inoltrò in una fitta boscaglia dal ricco sottobosco. La sottile vestaglia di seta color petrolio, lunga fino al ginocchio, si lacerò in più punti, mentre profondi graffi si formavano sulla sua pelle, resa candida dalla prolungata reclusione in casa. Sentiva le foglie e i legnetti scricchiolare, per poi frantumarsi sotto i suoi piedi nudi.
Il sibilo del vento tra le fronde nude e spoglie la fece sobbalzare. In un attimo il panico la sommerse, soffocandola. Si voltò con gli occhi sgranati, non vedeva nulla, solo nebbia: “Aspetta, sono forse occhi quelli?”. Per tutta risposta la raggiunsero un nuovo sibilo e lo spezzarsi di un ramo. Si voltò lanciandosi in una corsa disperata, alla cieca. C'era qualcuno? Chi l'aveva raggiunta? Chi mai poteva averla trovata?
Dopo pochi ma interminabili minuti percepì un cambiamento nel terreno, ora era morbido, umido, quasi fangoso: “Ci siamo, finalmente!”. Non aveva più bisogno di scappare, così si fermò, ricominciando a camminare. Davanti a lei si aprì una grande radura che circondava un laghetto ghiacciato, dominato da un piccolo ponticello alla giapponese, in metallo, verniciato di verde. Eccolo: il Cocito. Quel lugubre sito prendeva il suo pittoresco nome proprio dal lago infernale descritto da Dante; si diceva fosse un posto maledetto, visitato sovente da anime in pena, e per questo era temuto ed evitato un po' da tutti i superstiziosi della zona. La verità era che nei pressi di quello specchio d'acqua, nel corso dei secoli, avevano trovato la morte diverse persone. Alcuni contadini, che, imprudentemente, si erano addentrati in quella che una volta era una grande palude, poveri mendicanti, assiderati nelle lunghe notti d'inverno, o ancora viaggiatori, colti di sorpresa dai briganti. Si narrava persino di una nobile baronessa, violata prima del matrimonio da un membro della casata rivale e ripudiata dal futuro sposo, che aveva deciso di affogarsi per fuggire dalla sua triste esistenza. La capiva, la invidiava, aveva trovato la pace, lei invece era ancora qui. Per fortuna, molto presto, si sarebbe potuta lasciare tutto alle spalle. Sorrise tra sé e sé. Il sorriso di chi è rassegnato al proprio destino, del malato incurabile , terminale, che attende la morte come una liberazione e lo rincuora sapere che sta per raggiungere i suoi famigliari, spirati prima di lui.
Si sfilò velocemente ciò che rimaneva della vestaglia, lasciandola cadere, noncurante, a terra. Ormai nuda si incamminò verso il ponticello. L'adrenalina l'aveva abbandonata e il suo corpo reagiva al gelo tremando violentemente. Stava velocemente perdendo la sensibilità di mani e piedi. Raggiunto il punto più alto salì in equilibrio sul parapetto, aprì le braccia, come se stesse per prendere il volo, si guardò intorno un'ultima volta per poi buttarsi. La sua mente, i suoi pensieri tacevano, cos'altro potevano dire? Era finita.
Lo spesso strato di ghiaccio si ruppe e lei fu libera di affondare. Fu ciò che vide sotto a confonderla. Decine e decine di volti smunti e pallidi la fissavano. C'erano tutti, i contadini, i mendicanti, i viaggiatori, con i loro sguardi sembravano accusarla. Rinunciava alla vita, ciò che a loro era stata strappata, pur desiderandola ardentemente. “Voi non potete capire!”, urlò, sprigionando una miriade di bollicine che risalirono in superficie. “Non avete subito la mia perdita, non  avete idea di cosa si provi!”. Ormai non si sentiva più né gambe né braccia. Quei volti scomparvero, rimase solo la baronessa: “Neanche tu hai il diritto di giudicarmi, come me sei fuggita, non potevi più sopportare il peso della tua vita!”.
Lo spirito non si mosse, non un muscolo del suo viso si contrasse, ma la risposta giunse forte e chiara, da un mondo che non era più il suo: “E ora me ne pentirò per tutta l'eternità. Non si può fuggire ai propri problemi, ti inseguono ovunque tu vada. Vuoi davvero morire e lasciarli in sospeso? Sei giovane, ragazza, e la tua vita è una sola, non lasciarla ai pesci.” Scomparve. L'aria incominciava a mancarle, ma ormai era completamente paralizzata, il fondale scuro la trascinava a sé mentre la luce era sempre più lontana. Alzò una mano verso l'alto, voleva vivere: “Aiuto!” Aveva bisogno di aria, i polmoni le si aprirono, ma ad entrare fu soltanto acqua, tutto divenne nero.
Si risvegliò, nuda su quel ponte, tossendo forsennata, ma completamente asciutta e senza una goccia d'acqua a complicarle la respirazione. Più sconvolta che mai, riprese la sua vestaglia e fuggì via, tornando alla sua vita. Quando, qualche settimana dopo, ebbe il coraggio di tornare in quei luoghi, non vi trovò nulla e quando chiese in giro, tutti le fecero un gran sorriso, il sorriso di chi sa bene di cosa si sta parlando, augurandole una buona giornata.










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