Capitolo 4.

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16 Novembre 2017

Ricordo che quella mattina ciò che mi svegliò fu il continuo vibrare del mio telefono.

Grugnii infastidita, dato che in genere dovevo svegliarmi con i miei tempi, se no sarei stata intrattabile tutto il giorno.

Aspettai qualche secondo, fin quando non lo sentii più, così presa dal torpore sprofondai tra le coperte blu nella mia camera completamente buia e oscura – nel vero senso della parola, l'unica cosa che avrebbe portato del colore sarebbe stata la luce dalla finestra oppure il mobilio bianco.

Un altro ronzio fastidioso irruppe come un tornado irrefrenabile nella quiete che mi avvolgeva, così con gli occhi ancora serrati, uscii la mano da sotto il piumone e cominciai a tastare il mio comodino, fin quando non trovai l'aggeggio del terrore.

A quel punto lo portai sotto le coperte e lo sbloccai, accecandomi completamente.

<<Mannaggia a me e alla luminosità elevata.>> borbottai, abbassandola subito per poi strabuzzare gli occhi nel vedere quante notifiche mi fossero arrivate.

Erano semplicemente le undici e mezza e già i ragazzi avevano bombardato il mio telefono di chiamate e messaggi.

Cominciai a pensare al motivo di tutto quel casino, ma nessuna idea illuminò la mia mente strabiliante, così aprii l'applicazione della messaggistica e mi resi conto di averla fatta davvero grossa: era Sabato e alle dieci e mezza dovevamo ritrovarci davanti Starbucks per poi avviarci verso la casa in campagna di Norah.

Stavo per alzarmi dal letto, dopo essermi avvolta nel mio plaid come un tartufo ed essermi messa in ginocchio per poi calare una gamba giù dal materasso, quando sentii urlare fuori casa Daniel e diversi pugni battuti sulla porta.
Il tutto rimbombò in quanto nell'abitazione mi trovavo solo io e, presa in contropiede e dallo spavento, finii con la faccia per terra.

<<GIURO CHE SFONDO LA PORTA, CASSIDY JAMIE JENSEN!!>> si sentì urlare ancora.

Piagnucolai, rotolando per terra, alzandomi e scendendo con tutta la calma del mondo, fino a ritrovarmi davanti alla fatidica porta.

Respirai profondamente per calmare tutti i santi spiriti che stavano ribollendo nelle mie viscere e mi stampai il più finto sorriso del mondo, aprendo nel contempo la porta.

<<Ehi ragazzi! Come butta?>> dissi, sperando di non essere sbranata dal mio migliore amico.

Ovviamente la fortuna non mi assiste mai, infatti nel vedere quasi il fumo uscire dalle sue orecchie cominciai ad indietreggiare, leggermente spaventata.

<<Come butta?! Ti butto io da un dirupo. Ma che testa hai? Possibile mai che ogni volta, non ti ricordi mai di impostare la sveglia?!>> sbraitava avanzando sempre più verso di me.

Era completamente andato di cervello. Avevo appena perso il mio migliore amico ed io ero arrivata alla fine della mia piena e felicissima vita, anche perché la mia boccaccia deve sempre muoversi per i fatti suoi, senza mai dare ascolto al mio geniale cervello: <<Dan, non ti agitare. Devi stare attento alla tua pressione, ormai hai una certa età. Ti sta scoppiando la vena sul collo>> sussurrai flebile, indicandogliela.

Strabuzzò gli occhi, mentre il resto dei nostri amici se la rideva ma smisero non appena lui li incenerì con lo sguardo, per poi ripuntarlo nel mio.

<<Io ti strangolo.>> sibilò a un passo da me, mentre alzava le mani per afferrarmi., ma smise non appena cominciai a piagnucolare e a chiedere perdono, sorpassandolo e correndo dal mio Travor in cerca di protezione.

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