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Dopo un intenso pomeriggio di studio, sono costretta a rientrare a casa. Carolina mi aveva mandato qualche messaggio a cui avevo risposto nel modo più sereno possibile. Ormai sono nel vialetto d'accesso e comincio a pregare che la casa sia vuota e, in effetti, appena apro la porta noto che tutte le luci sono spente e avverto un silenzio assoluto. Un sospiro di sollievo non può non arrivare. Vado in cucina per vedere se c'è qualcosa da mandare giù ma tutti gli sportelli della credenza sono completamente vuoti, così come il frigorifero e quindi mi annoto mentalmente di passare a prendere qualcosa domani, prima di rientrare. Non mi rimane che preparare lo zaino e infilarmi sotto le coperte; per fortuna il sonno non tarda ad arrivare.
I giorni seguenti trascorrono veloci, e in un'apparente tranquillità. Non incrocio mio padre quasi mai se non in sporadiche circostanze, ma ogni volta sembra non vedermi, o comunque non si cura di me. Quanto si curava di me, invece, la mia mamma... ogni singolo gesto, carezza o rimprovero ad oggi mi sembrano delle gemme preziose che mi sono state rubate, a causa di una schifosa malattia che ha portato la mia mamma lontano da me. Tornare indietro non si può, ma nemmeno mandarla via dal mio cuore e da tutto ciò che mi circonda, quindi come ogni mattina lancio uno sguardo a quella tanto amata foto di me e lei che ridiamo come pazze, e sto per uscire di casa e dirigermi a scuola quando la porta di casa si apre con un tale impeto da scaraventarmi a terra. È tornato e mi sta guardando dritto negli occhi.
Ecco qua. Ci risiamo.
Se rimango a terra sono finita quindi mi affretto a rialzarmi ma non abbastanza velocemente perché con un calcio mi rigetta sul pavimento. Anche se puzza di alcol fino al midollo, in un lampo è sopra di me e comincia a tirarmi schiaffi e pugni mentre mi strattona i capelli. Chiudo gli occhi, non voglio né vedere né sentire più niente e penso che questa volta non reagirò, penso che lo lascerò sfogare, non mi importa più.
Eppure, pochi minuti più tardi, collassa di fianco a me e dal momento che mi è stata data l'ennesima possibilità non me la lascio scappare e, ancor prima di battere le ciglia, scappo fuori di casa.
Tra un mal di testa che inizia velocemente a farsi strada e uno zigomo che avverto gonfiarsi inesorabilmente mi accorgo che l'autobus deve essere già passato.
Perfetto. Dovrò anche farmela a piedi fino a scuola e per non fare troppo tardi decido di avviarmi, quando pochi minuti più tardi mi si affianca una macchina scura e il guidatore sta già abbassando il finestrino. Mi volto e vedo Christian, il bel biondo, che con un sorriso che convincerebbe chiunque anche della cosa più assurda afferma:" Secondo me hai bisogno di un passaggio. Calcolando che da qui a piedi fino a scuola impiegheresti all'incirca 45 minuti se mantieni un passo sostenuto e non hai intenzione di prendere nemmeno un caffè, perderesti comunque una parte troppo importante della lezione del nostro caro professore di filosofia insieme a tutte le sue perle di saggezza senza le quali è praticamente impossibile continuare a sopravvivere!"
Il tono ironico ma giocoso mi risveglia un po' dal torpore e visto lo stato in cui sono un passaggio sarebbe davvero comodo perciò non mi oppongo e salgo in macchina.
"E buongiorno signorina! Quale immenso onore ho nell'aiutarla in un momento difficoltà", mi dice con una voce calma, rassicurante, bassa ma dolce.
"Buongiorno a te.." dico tenendo lo sguardo basso. Mi tiro su i capelli con un elastico rosa per tentare di tenerli a posto ma subito vedo il suo sorriso scomparire a poco a poco mentre continua ad osservarmi il viso, centimetro dopo centimetro. Mi sfiora lo zigomo e il collo e non faccio in tempo ad avvertire una scia di brividi pervadermi la schiena che ricordo.
Merda, staranno già uscendo i lividi, li ha notati, si sarà facendo domande su domande, e infatti..
"Ma che cosa ti è successo...?!"

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