il filo del ragno

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(Ho dovuto ripubblicare questo capitolo solo perché mi ero dimenticata di mettere quel bel disegnino lassù, non ho cambiato altro.)





Concludiamo col dire una cosa:
io non sono depressa, nè lo sono mai davvero stata.
Lei molto probabilmente sì.

L'ho realizzato adesso, in contemporanea al trillo della campanella che segna la fine della pausa pranzo (pausa che chiaramente Yukiyo ha passato in cortile con i suoi amici).
Ed è proprio al loro ingresso in aula che mi rendo conto di una cosa: lei non è insieme a loro.

Senza quasi rendermene conto mi alzo in piedi di scatto e, facendomi spazio tra quella decina di ritardatari che ancora affollano la porta d'ingresso, mi incammino in fretta e furia per il corridoio.

La depressione non è nera, ma grigia.

L'ho capito adesso, mentre mi tornava in mente lo sguardo spento che un paio di volte mi è capitato di scorgere sul suo viso.

Non era lo sguardo di chi sta precipitando in un profondo abisso di tenebre, in attesa di un filo del ragno che lo tirasse fuori di lì.
Perché forse non è quella la metafora più adatta per descrivere la vera depressione.
Forse è più giusto dire che quello era lo sguardo di chi sta vagando in mezzo alla nebbia.
Una fitta coltre di nebbia che impedisce di vedere a più di un palmo dal naso, che offusca ogni cosa, tutti i tuoi sensi, rendendo la luce opaca e i colori sbiaditi, i suoni nulla di più di un basso mormorio e le persone che ti stanno intorno solo delle sagome indistinte.

E forse, non so, lo vedono che c'è qualcosa oltre quella nebbia.
E forse se solo ci provassero ci riuscirebbero davvero a raggiungerlo questo qualcosa.
Ma invece semplicemente si siedono lì, con le gambe strette al petto e lo sguardo perso nel vuoto, lasciando che tutto accada intorno a loro senza venirne minimamente scalfiti, allungando di tanto in tanto la mano, timidamente, con fare titubante, per poi ritirarla all'istante.
Perchè ciò che cercano è lì, proprio davanti a loro, ma quella coltre di nebbia glielo rende distante, irraggiungibile.
Forse non vedono la vita come noiosa, ma semplicemente come fuori dalla loro portata.

Mi chiedo se sia questo ciò che Yukiyo cercava di dirmi quando di tanto in tanto quello sguardo vacuo riusciva ad aprirsi un varco in mezzo alla coltre di nebbia che lo stava lentamente inghiottendo, o quando mi diceva di stare male mentre sorrideva, senza spiegarmi altro, nè come, nè perché.

O forse non cercava affatto di dirmelo.
Forse lei, al contrario di me, non era affatto alla ricerca di un filo del ragno. Magari si era semplicemente rassegnata a passare il resto della sua vita in queste condizioni.

Mi viene da chiedermi se l'abbia mai sentita realmente ridere o vista sorridere.
Se quando aggrottava la fronte e metteva il broncio fosse stata realmente arrabbiata o in realtà stesse pensando a tutt'altro.
Se quella tristezza scorta nei suoi occhi, dove vedevo bruciare quei due hitodama, fosse reale o se invece la coltre di nebbia, oltre ad offuscarle i sensi, abbia lentamente sbiadito anche le sue emozioni.

Mi viene da chiedermi come debba aver preso le parole che le ho rivolto una settimana fa, quando le ho rivelato di considerarla il mio filo del ragno. Quindi mi torna in mente ciò che mi ha detto questa mattina.
Al ricordo di quelle parole, un brivido mi percorre la spina dorsale, facendomi rabbrividire.

Adesso sono davanti alla porta del bagno.
È chiusa.

Ormai la campanella è suonata da abbastanza tempo perché tutti siano rientrati nelle proprie classi, svuotando il corridoio.

Senza attendere oltre abbasso la maniglia ed entro.
Delle quattro cabine, due hanno la porta aperta, mentre le due più in fondo chiusa.

Corro alla terza, bussando un paio di volte.

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