The Metro One

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Londra, aprile 2018
Era sera tardi, quando stavo tornando a casa dopo la solita serata nel solito pub. Niente di nuovo all'orizzonte. Semplicemente io, le mie amiche e qualche ragazzo che prova invano ad abbordare.

Scesi le scale della metropolitana. Davanti ai binari vidi un ragazzo, era solo. Biondo. La metro arrivò e mi andai a sedere su uno dei sedili posti ai lati, rivolti verso il centro.

Ero stanca quella sera, più del solito. Mi ero stufata della solita routine, volevo qualcosa di diverso, qualcosa che mi facesse emozionare. Quella sera avevo sorriso meno del solito. Avevo bevuto la solita birra ma non mi ero interessata alla conversazione e le mie amiche lo avevano notato, ben tre volte. Per questo stavo tornando prima.

Sguardo fisso, un po' perso, verso il pavimento. Un ragazzo si sedette davanti a me, era proprio lui. Il biondo si guardava le mani, incrociate sopra le gambe e sembrava pensare, davvero tanto e profondamente. Mi guardai intorno, cercando di capire se fossi stata l'unica a notare la tempesta che era in atto in quel ragazzo. Mi colpì molto, non riuscii a smettere di guardarlo. Alzò lo sguardo un paio di volte, ma non mi guardò. Sembrò non notarmi. Eppure ero lì, davanti a lui, mentre lo fissavo, troppo insistentemente. Notai qualche vena sotto gli occhi, particolarmente visibili e mi chiesi se fossero segni della stanchezza o semplice fisionomia e mi ritrovai a pensare fossero davvero affascinanti. Gli davano quel non so che di vissuto.

Si stropicciò gli occhi e non appena alzò lo sguardo, finalmente lo incrociò con il mio. Quel contatto mi disturbò in un certo senso, forse in modo negativo o forse in modo estremamente positivo. Mi ritrovai ad amare quel piccolo, veloce, fugace contatto.

Fu lì, in quel momento, quando i lati delle sue labbra si curvarono verso l'altro, che ne rimasi affascinata ancora di più. Mi rivolse un sorriso sincero, difficile da trovare in giro. Un sorriso che disse tanto, troppo, ma anche niente. Silenzio. Un sorriso stanco, ma che emanava dolcezza e serenità, in un momento in cui ne avevo davvero bisogno. Magari anche lui ne necessitava.

Così feci quello che mi venne più spontaneo, gli sorrisi anche io. Un piccolo sorriso, che rispondeva alla richiesta di semplicità e onestà che nel mondo è ormai rara. Fu importante quel momento, perché non sapevo che mi avrebbe fatto tornare il sorriso e l'allegria quella sera.

Non mi accorsi che due fermate erano già state superate. Arrivò la terza. Il ragazzo aspettò fino all'ultimo per alzarsi ed uscire. Me ne accorsi dalle scarpe che non furono più nella mia visuale, tornata sul pavimento da qualche minuto. Non alzai lo sguardo, non fin quando ne sentii il bisogno. Sentivo di doverlo fare, non era finita con lui, non così, non con un semplice sguardo e un solo sorriso. Alzai lo sguardo quando sentii il rumore emanato dagli altoparlanti che annunciavano l'imminente chiusura delle porte.

Fu quasi magico incontrare per la seconda volta quello sguardo, quegli occhi così sinceri. Mi stava guardando, come se lo stesse aspettando quel contatto, come se ci sperasse davvero. E successe. Lo guardai mentre fu costretto ad uscire. Mentre mi rivolse un nuovo sguardo, felice. Un nuovo sorriso, entusiasta.

Fu lì che mi accorsi di essermene innamorata, completamente e perdutamente.

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