Capitolo secondo

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Il mattino seguente mi svegliai di scatto.

Guardai l'ora sul cellulare, che avevo appoggiato sul comodino di fianco al letto, e mi accorsi che erano già le undici e mezzo, ma notai anche una chiamata persa del numero sconosciuto che mi aveva scritto la sera prima.

<< Ahahah ciao scema, speravo non mi riconoscessi. E’ da un po’ che non ci si sente. >>

Dato che non avevo risposto, addormentatami, aveva continuato a mandarmi messaggi.

<< Oh dai, non ci credo. Stai dormendo? Sei una sfigata, amore. >>

E ancora sms.

<< Dai svegliati, ho voglia di parlare con te, angelo. Mi manchi. >>

E poi ancora.

<<Ti prego. Ora ti chiamo, ma  rispondi.>>

Erano tutti a distanza di circa un’ora.

L’ultimo mi colpì particolarmente: <<Ok, bene. Ti stupirò. Quando ti svegli affacciati al balcone della finestra.>>

Pensai che fosse il solito scherzetto alla Zayn o che comunque fosse molto improbabile trovarlo sotto casa mia, visto l’orario del messaggio, quindi decisi di fare con calma colazione, senza badare all’SMS.

Tenevo in mano la tazza bollente contenente il tè, e con un dito seguivo il perimetro circolare di questa, cercando di resistere alla curiosità.

Cedetti e raggiunsi la ringhiera del terrazzo, mi sporsi fino quasi a cadere di sotto.

Non riuscii a trattenere un enorme risata che si diffuse in tutte le vie del quartiere, o almeno così mi parse.

Stava dormendo sulla sua moto, parcheggiata davanti al mio garage.

<<Zayn!>> urlai.

Lui sobbalzò, si stropicciò gli occhi e porto una mano sulla sua fronte, per coprirsi dai raggi del sole, ormai forte, e mi guardò.

<<Buongiorno.>> disse sorridendo.

<<Che ci fai qui?>>

<<Ho solo mantenuto la promessa, fiorellino.>>, e fece una smorfia compiaciuta e soddisfatta.

Lo fissai per un attimo e poi lo invitai a salire con un cenno.

Mia madre non era a casa.

Ah si, giusto. Era sabato.

Ogni sabato a quest’ora partecipava a un corso di pittura con alcune sue amiche d’infanzia.

Aveva un talento naturale per l’arte.

Comunque tentai di aggiustarmi e conciarmi in modo almeno decente.

Aprii la porta e lo trovai lì, davanti a me, come quella sera.

<<Che ricordi..>> sussurrò lui prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa.

Diresse lo sguardo in basso, verso le sue scarpe, poi tornò su di me.

Un abbraccio mi avvolse e mi sentii rivivere.

La mia bocca era coperta dal colletto del suo giubbotto, le sue mani avvinghiate alla mia schiena, la sua fronte sulla mia spalla.

Fummo legati in quel mazzo di fiori per una manciata di minuti.

<<Mi sei mancato.>> bisbigliai con una voce quasi impossibile da sentire, sicura che il suono si confondesse con lo struscio del suo corpo sul mio.

<<Anche tu.>> rispose.

Arrossii. Ok, l’avevo sottovalutato. O meglio, avevo sottovalutato il suo udito.

<<Devo andare, e’ tardi per me.>> mi spense l’espressione felice e sollevata del mio volto.

<<Come? Di già?>>

Cercai di convincerlo a restare ancora un po’, almeno per pranzo, invano.

Mi schioccò un bacio sulla guancia, uno di quei baci di cui ti innamori dicendo ‘’non mi laverò mai più la faccia’’.

Indietreggiò tenendo gli occhi fissi sui miei e gli angoli delle labbra leggermente piegate all’insù, poi chiuse la porta.

Abbassai la testa.

<<Oh merda.>> esclamai.

Quella sera sarei dovuta andare in discoteca con Liam e gli altri, ma non avevo alcuna voglia di vederlo.

Il mio petalo rosso.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora