CAPITOLO 3 - L'innamorato respinto

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Era trascorsa una settimana dall'arrivo di Eraldo. Domenica le aveva provate tutte per farci amicizia, ma non c'era stato niente da fare. Non so che problemi avesse Eraldo con lei, ma quasi non le rivolgeva la parola e quando parlavano fingeva di non capirla. Eppure lei non perdeva le speranze e ogni giorno lo salutava con un sorriso e con tutta la sua gentilezza. A volte mi faceva quasi pena vedere come lui la ignorasse. Domenica era una cara ragazza, piena di gioia di vivere. La vedevo intristirsi solo quando qualcuno le chiedeva cosa avrebbe voluto fare da grande. Sua madre era una poliziotta e segretamente anche Domenica avrebbe voluto seguire quella strada, se non fosse stato per le sue condizioni di salute.

Quel lunedì mattina iniziò con un'interrogazione a sorpresa d'italiano. Quando la Fragola si mise a scorrere con lo sguardo i nomi sul registro, sentii il cuore stringersi in una morsa. Non avevo studiato molto e certo si sarebbe notato.

Dopo alcuni interminabili secondi, la professoressa alzò lo sguardo, fissò Eraldo e gli fece cenno di venire accanto a lei.

Eraldo prese la sedia e la mise a lato della cattedra, si sedette e inspirò profondamente.

Fragola lo guardò negli occhi, impassibile, per alcuni istanti.

"Manzoni" disse lei alla fine. "Cosa sai di Alessandro Manzoni?"

"Professoressa..." iniziò lui. "Ne abbiamo parlato poco, solo durante l'ultima ora di sabato..."

"Lo so benissimo" rispose lei. "Sei tu che non sembri saperne granché. Eppure se sei stato attento ricorderai che cosa ho detto..."

"Lei ha detto che Manzoni ha scritto I promessi sposi."

"Anche i bambini sanno che Manzoni ha scritto I promessi sposi. Coraggio, dimmi qualcosa in più!"

"Io non ho mai studiato Manzoni prima di venire in Italia" si difese lui. "E lei non ha spiegato altro!"

"Ah!" esclamò la professoressa indignata. "Non ho spiegato altro! Patrizia, vuoi dirmelo tu se non ho spiegato altro?"

Il sangue mi si gelò nelle vene. Strinsi forte la penna che tenevo tra le dita, indecisa sul da farsi.

"Ha spiegato..." balbettai. "Ha spiegato anche i primi versi de Il cinque maggio."

"Te lo ricordi, Eraldo?" disse Fragola.

"No" ammise lui.

"Almeno sai dirmi per quale occasione è stata scritta?"

"No" rispose Eraldo. Una vena gli pulsava sulla fronte.

"Male, molto male" disse la professoressa, aprendo il registro. "Sicuro di non potermi dire altro di Manzoni? Mi costringi a metterti un tre."

Eraldo tacque. Fragola stappò la penna, scrisse qualcosa sul suo registro e congedò Eraldo con un sorriso beffardo.

"Che stronza" sussurrò Diana.

La professoressa alzò gli occhi, cercando di capire chi avesse parlato, ma non disse niente. Aprì il libro di testo e a lesse ad alta voce Il cinque maggio. Poi iniziò a spiegare la poesia, verso per verso, lanciando qualche sporadica frecciata a Eraldo quando le andava di farlo.

Durante l'intervallo trovai il coraggio di andare da Eraldo per scusarmi di aver risposto al posto suo.

"Non ti preoccupare Patricia" disse lui. "Hai fatto bene. Si vede che tu sei stata più attenta di me! Ma la professoressa è sempre una così gran... bitch? Come si dice? Troia?"

Ridacchiai.

"Se vuoi possiamo studiare insieme" proposi. Avevo abbandonato il mio proposito di conquistarlo, ma volevo comunque trovare il modo di aiutarlo a recuperare quel brutto voto.

"Volentieri" disse lui. "L'ultima volta ho studiato con Diana... e non abbiamo aperto libro" disse, sorridendo.

"Con me i libri li aprirai, invece!" dissi io, fissandolo negli occhi. "Vieni a casa mia, se vuoi posso prepararti qualcosa da mangiare. I miei genitori torneranno tardi e comincio ad avere fame!"

"Sai cucinare?" chiese lui.

"Cucinare è un parolone" dissi io. "Però so come fare a non morire di fame!"

Quando la campanella decretò la fine della sesta ora, la scuola era già quasi deserta. Eraldo ed io avevamo già fatto qualche centinaio di metri verso casa mia, ma all'improvviso lui si ricordò di aver lasciato un raccoglitore sotto il banco e tornò indietro per recuperarlo. Lo guardai allontanarsi di corsa con i bei capelli al vento. Era molto veloce, sarebbe tornato in fretta.

Ne approfittai per iniziare a ripassare per conto mio. Era una bella giornata di inizio autunno. Un vento leggero smuoveva appena le foglie. Mi sedetti su una panchina e tirai fuori dallo zaino il libro di letteratura. Lessi un paio di paragrafi sulla biografia di Alessandro Manzoni, sottolineando con la matita i punti più importanti. Ero così concentrata da non essermi accorta che qualcuno mi aveva tenuto d'occhio per gli ultimi dieci minuti e si era appostato alle mie spalle. Sentii una mano posarsi sulla mia bocca e una bloccarmi le braccia contro il corpo.

"Non gridare" disse una voce maschile. "Sono io, il tuo Enrico! Non voglio farti del male!"

Enrico mi dette un bacio sulla fronte e uno sui capelli, ma non pareva intenzionato a lasciarmi andare. Mi divincolai, cercai di gridare, ma non c'era nessuno nei paraggi e la sua stretta era troppo solida per me.

"Sei mi dai un bacio sulla bocca ti lascio andare" sussurrò Enrico, leccandomi un orecchio. Inorridita, scossi la testa e iniziai a piangere.

"Solo un bacio, non ti sto chiedendo molto!" disse lui, toccandomi il seno.

Non so bene cosa accadde, ma d'improvviso sentii la sua presa allentarsi e mi ritrovai libera. Mi voltai di scatto e vidi Eraldo stringere con forza i polsi di Enrico dietro la sua schiena.

"Son of a bitch, non si toccano le ragazze!"

Enrico era un ragazzo alto e robusto, ma Eraldo era riuscito a immobilizzarlo cogliendolo alla sprovvista.

"Chi sei?!" domandò Enrico.

"Sono il suo fidanzato" mentì Eraldo, mollando la presa. "Se ti avvicini ancora a Patricia ti faccio gli occhi neri, tu capisci, asshole? Non ti voglio rivedere!"

Enrico mi guardò con occhi spiritati e corse via come una lepre.

"Grazie" borbottai, con un fil di voce.

"Se lo meritava! Disgustoso individuo!" rispose Eraldo, riprendendo lo zaino che aveva posato a terra.

Bello da morire - Racconto a puntateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora