Capitolo ottantasette (Ogni attimo rubato)

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Diego

-Diego...-

La voce di Nadia all'altro capo del telefono era strozzata. Stava piangendo. Dovetti sedermi. Mi girava la testa. Non riuscivo a respirare. Mi sentivo il cuore nelle orecchie.

-Enola si è sentita male. L'hanno ripresa per i capelli...- mugolava le parole, erano quasi incomprensibili.

-Torna qui, Diego... ormai ci siamo...-

L'ultima frase era un gemito. Si abbandonò a un pianto liberatorio, io l'ascoltai pietrificato.

-Ma devo ancora convincere quello a donare...-

-Diego, sta troppo male, forse non passa la notte. Torna qui, ora. Ti prego... Enola chiede di te, ti vuole accanto...-

Poggiai la fronte contro un'asse portante della veranda.

-Me la puoi passare?-

Nadia tirò su col naso. Sentii dei passi di sottofondo, stava andando da lei.

-Diè?- era lei.

-Ehi...-

Aveva la voce flebile, ma mai quanto la mia incrinata dal pianto. Era come avessi ingoiato carta vetrata.

-Non sto benissimo... Puoi tornare qui, per favore? Mi manchi...-

No, non avevo il coraggio di tornare lì a mani vuote. Non avevo il coraggio di guardarla in faccia senza sapere di aver fatto sul serio il massimo, di averle provate tutte. Ero così vigliacco che preferivo vederla direttamente in una tomba che intubata e poco reattiva, mentre mi moriva tra le braccia e con me conscio di come alla fine non avessi concluso nulla.

-Enola, ascolta... Io vorrei tornare, ma sto facendo il possibile per trovare il midollo osseo. Se mi chiedi di tornare magari mi sfugge il donatore giusto. È una questione di probabilità...-

-Ma Diego... quante possibilità ci sono di trovarlo per strada, e soprattutto in una sola città? La persona compatibile potrebbe essere dall'altra parte del mondo...- tentò.

Cercava di non farlo intendere, ma stava piangendo. Mi voleva lì, e io volevo accontentarla, ma poi sarebbe morta e io avrei vissuto con il tormento di non aver fatto abbastanza. Era una questione di scelta. La coscienza o Enola. O forse erano stessa cosa. Non volevo lasciare Enola da sola, come avevo fatto per nove anni, ma non potevo nemmeno lasciarmi sfuggire la possibilità di salvarla e, in caso di non riuscita, continuare a vivere sereno.
Con la fronte diedi piccole botte alla trave, ma avrei voluto spaccarmici la testa.

-Enola, facciamo così. Io faccio un ultimo tentativo con quest'associazione, se non trovo nulla, fra tre giorni mi trovi in ospedale.-

-Tre giorni?!? Diego...-

-Enola ti prego resisti...-

-Non dipende da me.-

-Sì, invece! Sei una testa di cazzo, ti sei svegliata da un coma pre-morte e ora vuoi dirmi che non resisti altri tre giorni?- mi arrabbiai.

Non volevo aggredirla, ma stavo perdendo il lume della ragione. Non avevo il coraggio di tornare lì. E Andrea avrebbe agito al mio stesso modo. O forse no. Perché stavo facendo i paragoni con lui? Forse doveva scegliere lui...

No. No. No. Io dovevo stare accanto a lei. Lei lo aveva deciso. Enola non era stupida. Se aveva scelto me era perché sapeva che solo io ero in grado di sopportarla e sostenerla e difenderla e...

-Tre giorni.- dissi algido e chiusi la chiamata.

Camminai come una furia verso la porta di ingresso di casa. Era aperta. Tommaso che si aspettava? Che entrassi di nascosto, che dormissi sul divano in cucina così da avere il mattino dopo il presupposto per litigare? Il gioco della moglie e del marito era finito.

Salii al piano di sopra facendo luce con il telefono. La camera di Tommaso era sopra la cucina, sopra la mia testa quando stavo mangiando. La trovai subito.
Spalancai la porta, accesi la luce. Tommaso, che stava dormendo a torso nudo sul lato destro del letto, si alzò di scatto. La stanza era vecchia come il resto della casa, c'era odore di chiuso e di legno mangiato dai tarli.
Mi fissò confuso. Ero una bestia.
Lo afferrai per un braccio, lo tirai verso di me e me lo caricai in spalla. Non era leggero come Enola, faticai e nemmeno poco. Tommaso non oppose resistenza. Si lasciò trasportare giù per le scale, che scesi quasi ruzzolando per quanto pesava. Travolsi sedie, soprammobili, quadri; caddero mille cose a terra, molte si fracassarono.
Avanzai su cocci appuntiti, sbattendo ovunque, Tommaso lasciava fare.

Quella casa forse non aveva mai visto tutto quel trambusto. Lo avrei trascinato con la forza a Roma, glielo avrei fatto togliere a tutti i costi il midollo. Si trattava della vita di Enola contro il capriccio di un frustrato.
Tommaso, a un certo punto, iniziò a ridere. Non capivo dove stessi andando. Tommaso rideva sempre più forte. Ero confuso. Mi fermai. Tommaso colse il mio attimo di distrazione, si divincolò e scese a terra. Accese luce.
Mi scappò un grido.
Aveva i polsi pieni di sangue. Stringeva in una mano un coltello. Aveva il manico lavorato, doveva essere un soprammobile. Lo aveva recuperato mentre sbattevo a destra e sinistra per uscire da quella casa.
Alzò i polsi vicino al volto. Sembrava un dejavu. Lui. Enola. Scherzavano con la vita e con la vita non si dovrebbe mai scherzare. Giocavano a fare Dio, a vedere gli altri come reagivano dinanzi ai loro gesti egoisti.

-Non glielo dono il midollo. Ora basta.-

Mi stavo per lanciare su di lui, per tamponargli i polsi. E lui ci stava ridendo. Rideva, con i polsi vicino al volto segnati da due linee nette e scure da cui partivano rigagnoli di sangue.

-Vattene.- sibilò.

-Se non vai, mi lascio morire e sulla coscienza avrai la mia morte.-

In quel momento avrei voluto morire io. Non ce la facevo più. Ero arrivato al limite.

Enola a casa mia. Enola che mi aveva sempre amato. Enola tutti giorni. Le bugie ad Asia. Le bugie di Asia. Asia che non amavo. Nove anni di relazione al vento. Fabrizio il falso amico. Fabrizio che era stato a letto con Enola. Enola in coma. Carlotta. Enola che si svegliava dal coma. Andrea. Enola che amava anche Andrea. Clara. La casa intestata a me e Clara. Enola che si faceva del male per obbligarmi a stare con Clara. Il midollo esisteva. Il midollo non veniva donato. Tommaso. Il futuro rubato a Tommaso. La solitudine di Tommaso. Il rancore di Tommaso. Tommaso che si faceva del male per non donare.

Ero saturo. Esausto. Non ce la facevo più. Era troppo troppo troppo. Mi scivolarono due lacrime. Tommaso non poteva vederle. Era troppo troppo troppo. Tutti a giocare con la vita. Con la mia vita. Egoisti. Vigliacchi. Nessun rispetto per me. Per la vita. Chi aveva provato a fare Dio era finito a governare l'inferno e loro non lo capivano.
Era. Semplicemente. Troppo.

-Ferma il sangue.- dissi solo.

Tommaso scoppiò a ridere.

Io uscii dalla sua abitazione.

Mi sedei sulla sdraio in veranda.

Fissai il vuoto.
Era troppo.
Il mio limite era stato superato.

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