Ave, Sacro Alberto Angela!

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Era finita per sempre.

Non c'era alcun modo che il mio orribile, terrificante errore potesse essere perdonato. Nessuna confessione al Sacro Marshmallow avrebbe potuto mai smaltire il peso del peccato che mi portavo addosso.

Non c'era più speranza per me.

Ero condannata per sempre, ormai lo sapevo, dall'oltretomba Dante avrebbe preparato solo per me un girone dell'Inferno con una legge del contrappasso estremamente crudele: la mia vetusta anima avrebbe passato il resto dell'eternità dentro una biblioteca che possedeva unicamente libri Harmony.

In altre parole: la dannazione eterna.

Forse, con una cerimonia di purificazione, sarei in qualche modo riuscita a salvarmi dal leggere per sempre quegli orrori, ma dentro di me sapevo - lo sapevo - che me lo sarei meritata. Meritavo molto di peggio, a mio parere, meritavo che qualcuno, proprio come in Arancia Meccanica, mi costringesse a tenere le palpebre spalancate così da farmi vedere sei ore e mezza dei film più dissacranti mai realizzati dal genere umano: la trilogia di Cinquanta sfumature.

Mi sentivo peggio di quando, a dodici anni, avevo involontariamente ucciso il pesciolino della nostra famiglia. Il suo nome era Nemo e io mi ero affezionata a lui dopo aver visto l'omonimo cartone animato. Gli parlavo, lo coccolavo, lo accarezzavo e non avevo vergogna a scaccolarmi in sua presenza: l'intimità che si era creata fra noi due mi permetteva di fare questo e altro. Fino a quando, un bel giorno, non avevo preso l'insana decisione di voler portare la nostra relazione da livello "amanti ma non troppo" a livello "condivisione assidua del letto e della bava". Ero andata a dormire insieme a lui, avevo messo la boccia in vetro sopra il materasso e mi ci ero sdraiata accanto, pronta per sussurrargli, durante la notte, la frase più sconcia che potesse mai venirmi in mente vista e considerata la mia particolare fobia, ovvero:

"Sei l'unico pesce che accetterei nel mio letto".

Inutile dire che fine aveva fatto, una volta che mi ero addormentata e avevo iniziato a fare la spiritata sotto le lenzuola.

Non mi ero mai ripresa dalla morte di Nemo. Nemmeno l'arrivo di Nemo 2.0 era riuscito a chiudere quel buco nel cuore, così come quello di Nemo 3.0, o di Nemo 4.0. Covavo una speranza per Nemo 5.0, tuttavia, era bravo a farmi ridere con la sua faccia da pesce morto.

Tuttavia, ora, mi sentivo ancor più in colpa di quando mi ero peccata del crimine di omicidio. Avevo commesso un reato ben peggiore, un reato che, un giorno, l'ordinamento giuridico italiano avrebbe reso illegale in qualsiasi regione della nostra nazione. Avrei voluto fare harakiri dentro la mia stanza, espiare i miei peccati con la flagellazione della lettura costante e ripetitiva dei libri di Moccia e Volo.

Avevo peccato di hybris, come quel rincitrullito di Agamennone e ora niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi dall'ira di un dìo furibondo che avrebbe ucciso il mio bestiame.

Lacrimoni giganteschi cadevano dai miei occhi, mentre, sofferente, mi stringevo nel mio pigiama da unicorno. L'oscurità della mia camera da letto non bastava per nascondere i singhiozzi da maiale che uscivano dalla mia bocca, a causa del pianto generato dall'orrore che avevo creato con le mie stesse mani.

Lo avevo fatto per davvero.

Non c'era modo che potessi esser perdonata.

Non c'era modo che potessi esser perdonata da lui.

Il Sommo.

Il Santo.

Il Gloriosissimo.

Alberto Angela.

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