Chapter 2

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Arrivato al piano terra notai che l'ascensore stranamente non fece quel classico suono per avvertire di essere arrivata al piano, forse la consuetudine degli hotel mi aveva abituato ad esso.
Una volta uscito da questo dannato palazzo, mi guardai attorno.
Notai una strada con vari palazzi non tanto alti, il massimo a cui arrivavano era il terzo piano, c'era il marciapiede e dei lampioni, alcuni dei quali non funzionavano. Era buio pesto, ma c'era un gruppo di ragazzi ad un bar un po' più avanti, volevo chiedere dove fissi finito, quindi intrapresi questa strada a passo svelto, avevo ancora molta ansia addosso e la ferita che mi bruciava da morire.
Arrivato in questo bar mi avvicinai al gruppo di ragazzi, il silenzio calò su di loro, mi fissavano e forse avevano paura della mia presenza.
Chiesi:"Dove ci troviamo?"
Loro sembravano non capire quello che dicessi, quindi provai a ripeterlo più lentamente, scandendo bene ogni parola.
Uno di loro prese coraggio e mi disse con un inglese molto grossolano "Siamo in via Cavour"
Dov'è che siamo?
La cosa mi puzza, perché parla così male la nostra lingua?
Forse un turista?

"Sei un turista? Perché il tuo inglese non è perfetto" dissi facendo il precisino.
"No, io vivo qui a Torino, e cerco di studiare la vostra lingua ma..." continuò a dirmi qualcosa, forse il perché del suo inglese non fosse perfetto, ma io non lo ascoltai.

Sono in Italia??
Ma come ci sono arrivato?

"SIAMO IN ITALIA??" Gli chiesi quasi urlando.
"Si, ma non urlare." disse ridendo poi inizio a fissarmi
"Hey ma tu sei ferito, vuoi che chiamiamo un ambulanza?" mi chiese.

Io scioccato, mi girai e iniziai a correre verso nemmeno io so cosa, verso un altra strada sconosciuta. Verso il nulla.
Sentii le loro voci allontanarsi, forse avrei dovuto accettare la loro proposta di aiuto, ma in quel momento non riuscivo più a pensare, ero a milioni di kilometri di distanza dalla mia vita e dalle persone a cui tenevo di più, sentii scendere delle lacrime che rigarono il mio viso, vedendo ancora di meno ora.

Come tornerò in America ora?
Senza soldi e senza documenti!!

Attraversai di corsa le strisce pedonali, ma quando mi accorsi che una macchina sfrecciava nella mia direzione era troppo tardi, in quel momento pensai solo: "spero che non faccia troppo male"
poi chiusi gli occhi..
Sentii lo stridere dei freni dell'auto, e quando riaprii gli occhi, con mio grande stupore mi resi conto che era riuscita a fermarsi in tempo, ad un centimetro da me, riuscivo anche a sentire il calore che fuori usciva dal muso della vettura.
L'uomo che era al volante scese e mi guardò, mi chiese qualcosa, probabilmente se stavo bene,ma io gli dissi semplicemente:"Aiutami".
Poi mi sentii cadere a terra, le mie gambe non mi reggevano più, ero stremato, e avevo perso molto sangue, ma non potevo assolutamente svenire un altra volta, con tutte le mie forze cercai di rimanere sveglio perché avevo il terrore che non mi sarei più risvegliato.
L'uomo mi aiutò a salire in macchina e poi partimmo, nel percorso mi diceva qualcosa, ma io non sapevo cosa dire, dopotutto non conosco l'italiano e avevo paura che lui non capisse la mia lingua, quindi provai a fargli capire che avevo bisogno di andare in ospedale.
"Portami all'ospedale! Mi hanno sparato" e con quella frase sentii l'accelerazione dell'auto, quindi sapevo che lui aveva capito quello che stavo dicendo.
Io chiusi gli occhi ed iniziai a pregare per la mia vita, in quella situazione la fede mi fu molto utile, ero molto devoto, e la mia vita è sempre girata intorno alla chiesa, anche nelle mie canzoni avvolte citavo questa mia devozione verso Dio, in quel momento pensai che il mio lavoro mi sarebbe mancato in eterno, e con esso anche tutti i miei cari.
In men che non si dica eravamo arrivati davanti all'entrata di questo grande stabile, con la scritta "Pronto Soccorso" sulla facciata.

L'uomo mi aiutò a scendere dall'auto e entrammo in questo grande e spazioso ospedale.
Appena entrati, davanti a noi c'era un lungo corridoio con delle piastrelle bianche a terra, a sinistra c'era un bancone, probabilmente era l'accettazione e alla nostra destra c'era una sala d'aspetto con una fila di sedie blu ad ogni lato della stanza.
Noi proseguimmo per il corridoio e ci venne incontro un infermiera, lei chiese qualcosa a me prima in italiano ma io dissi di essere straniero.
"Cosa ti è successo?" mi chiese con un accento strano.
"Sono stato sparato, da una donna che mi vuole morto!" dissi io.
Lei rimase sconvolta dalla mia affermazione, poi fece cenno al mio salvatore di aspettare fuori mente mi portava infondo al corridoio, io mi girai e lo ringraziai per quello che aveva fatto per me, poi lo vidi scomparire alle mie spalle.
L'infermiera mi portò in una stanza e  mi disse di mettermi sul lettino, poi la vidi chiamare subito un suo superiore.
Nel frattempo un'altra infermiera mi mise un laccio emostatico prima a monte della ferita, evidentemente per far diminuire la perdita di sangue, subito dopo mi tagliarono i vestiti con delle forbici e mi misero il classico camice d'ospedale.
Una volta fatte delle radiografie ed esami vari, mi prepararono per l'intervento.
In quell'istante arrivò un uomo di mezza età dal viso allungato, capelli bianchi e con un po' di barba in viso e a dire il vero neanche tanto in forma, non mi fece una buona impressione.
Mi disse che era lui il chirurgo che mi avrebbe fatto l'operazione alla spalla, e dopo chiese da quanto tempo ero stato sparato e io cercai di rispondere sinceramente:"Credo che sia passata un ora!" gli risposi.
Lui fece una faccia un po' strana, forse di preoccupazione o forse di .

Solo nel Buio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora