Capitolo 3

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Mi avventuro tra le varie casse che occupano la stiva, anche se non so bene a cosa possa servire, però è l'unica direzione in cui posso andare.

Cercando di raggiungerne il fondo, noto un barile in legno chiaro con una piccola F marchiata in nero. Quel marchio mi sembra subito inconfondibile. Si tratta di qualcosa proveniente da Farvel, la mia terra.

Che cosa ci poteva fare qualcosa di magico in un parte di mondo che aveva rinnegato la magia?

In una frazione di secondo mi trovo ad avere molti aspetti in comune con quel barile.

Con le unghie cerco di grattare via la colla secca che tiene il coperchio incollato al contenitore. Non so cosa ci troverò all'interno, ma spero vivamente qualcosa che possa aiutarmi.

Le voci sono sempre più vicine, più distinte. Sento varie risate sovrapporsi l'una sull'altra.

Una goccia di sudore mi scende lungo il collo. Da quando sono scappata di casa ho affrontato vari pericoli. Ho dormito da sola, al buio, sui rami degli alberi della foresta dei Parlanti di Grehyard. Mi sono procurata del cibo quando avevo finito le scorte nella mia sacca. Avevo attraversato posti di cui nemmeno conoscevo il nome.  Avevo perduto il mio bagaglio quando ero scivolata in un crepaccio, alle fosse di Syrthio, per sfuggire da un drago affamato a cui avevo occupato la grotta per errore. Eppure non ero mai stata così tanto prossima alla mia cattura, mai come ora.

Con la coda dell'occhio intravedo delle ombre scendere nella stiva. Mi accuccio per nascondermi meglio e cerco con tutte le forze di tirare via quel maledetto coperchio. Finché finalmente cede.

L'odore acre dello zolfo mescolato alla pietra focaia mi arriva subito alle narici. Lo riconosco immediatamente. Appartiene ad una polvere, che se gettata in aria si trasforma in piccoli vortici infuocati o scintille luminescenti che poi si librano nel cielo, creando spirali di luce e figure animate. Solitamente la utilizzavano al palazzo per animare le feste e poteva diventare molto pericolosa, visto che funzionava senza controlli diretti.

Che ci faceva qui quella polvere? Mi chiedo di nuovo, sempre più sconcertata.

«Allora dove sarebbe questa ragazza strana?» chiede un vocione, riportandomi alla realtà.

Ragazza strana a chi?

«Si sarà nascosta» risponde il ragazzo. Spingo la schiena contro il legno della parete, quasi come se potesse magicamente risucchiarmi dentro di sé.

Sollevo appena la testa sopra il bordo del muro di casse che mi nasconde, per notare tre figure troneggiare nella lama di luce. Le ombre lunghe, proiettate dal sole, arrivano a colpire quasi le assi del pavimento, ad un palmo dalle merci disposte alla rinfusa.

Un uomo con le braccia muscolose piene di cicatrici tira una manata sulla spalla al ragazzo, che finisce col fare un passo in avanti. Sembra che abbia la pelle a strisce, da quanto risaltano quelle irregolari linee biancastre sul suo colore scuro.

«Secondo me ha solo esagerato col brandy» capitola la terza figura, molto più bassa degli altri, con una barba scura così lunga che gli tocca la punta delle calzature.

L'uomo robusto ride con la sua voce cavernosa. «Che gran bella pensata Nash» commenta per poi strizzare l'occhio verso il basso compare, che gli mostra un sorrisetto beffardo.

«Vi dico che c'è!» replica il ragazzo a cui ho rubato il pugnale. Ne sento la lama così fredda, nonostante fosse a contatto al tessuto dei pantaloni, all'inizio del mio fianco sinistro.

Gran bel capitano, penso, se non sa farsi rispettare dalla suo equipaggio. Però almeno non erano le tre guardie magiche. Chissà se erano già andate oltre il porto o mi stavano ancora cercando per il mercato.

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