Capitolo 23

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Il silenzio viene stranamente interrotto da una cantilena che il gruppo di orchi si mette a intonare. Un ritmo vorace composto da quelle parole senza un senso apparente.

Marciano come soldati che stanno scendendo sul campo di battaglia e le loro voci rimbalzano contro i tronchi coperti di muschio. Ricordano vagamente echi di montagna.

Non ho la più pallida idea di cosa vogliano farne di noi. Ma sicuramente siamo loro prigionieri adesso e quasi mi viene da ridere se penso al fatto che da quando sono scappata dalla mia prigione, non facevo altro che finire nelle grinfie di qualche creatura.

Stanno ancora rumoreggiando e più cantano più il loro passo si sveltisce. Le loro parole devono essere una sorta di incoraggiamento.

I loro passi sulla terra ricordano vagamente il suono dei tamburi e tutto questo mi sembra così strano.

L'orco grigio mi posiziona per terra malamente, facendomi sbattere il fondo schiena sull'erba, come se fossi una sorta di bambola di pezza, per poi trascinarmi contro il tronco rugoso di un albero. Anche i miei compagni di viaggio fanno la mia stessa fine e l'orco basso comincia a legarci con una corda molto spessa, ruotando intorno al fusto.

La mia nuca gratta sulla corteccia e muovendo la testa all'insù noto che sugli alberi ci sono delle piattaforme di legno. Sembra che il tronco sia cresciuto in modo bizzarro. Malformazioni innaturali che assomigliano a terrazzi. Sono tutte sospese da terra di molti metri e si presentano spesse, adatte a reggere molto peso. In molti casi sono così larghe che arrivano da una chioma all'altra di quegli alberi maestosi dal tronco davvero enorme.

Un orco scende da una piattaforma con un salto che fa tremare la terra, come se fosse comparso una sorta di piccolo terremoto. L'orco basso finisce di legarci e stringe così tanto quella fune sudicia, per poi farci un nodo, che mi mozza il respiro.

«Jorl!» dice rivolto al nuovo arrivato. L'orco che è sceso dagli alberi è diverso dagli altri. La sua pelle è gialla e porta una serie di orecchini a forma di cerchio ai lobi. La sua mascella è più definita e sembra anche più muscoloso e forzuto. Deve essere il loro capo.

«Inzi kall bansala» risponde e vorrei tanto capire cosa si stanno dicendo.

«Ergosa otrad, sen la dolbinite».

L'orco giallo scuote il capo accondiscendente. «Cammis Githia» ordina all'orco basso, che annuisce a sua volta e scompare veloce salendo su un tronco, arrampicandosi con le unghie nel legno. Rimango stupefatta dalla forza dell'albero che non si piega e sostiene il peso di quella massa di muscoli.

Qualcuno cerca di divincolarsi al mio fianco, facendomi strisciare la fune sotto il seno. Il tessuto della camicia di Derrin mi si appiccica alla pelle. Chiudo gli occhi e la magia del mutismo degli orchi riesce a farmi trattenere un'imprecazione.

Il capo si avvicina a me e mi squadra, come se stesse osservando un animale sconosciuto. Ma poi i suoi occhi cambiano espressione e un sorriso gli compare tra le zanne bianche. Continuiamo a guardarci senza dire una parola.

Sento la magia paralizzante degli orchi bloccarmi le membra, intorpidendole e un formicolio comincia a instillarsi alla base delle mie caviglie.

Poco dopo torna l'orco basso e nel palmo ha una piccola creatura, che vi scende usando le dita grassocce come scalini.

All'apparenza sembra una donna dalla pelle nerastra. Sotto i voluminosi e lunghi capelli color latte spuntano due grandi orecchie appuntite. Una veste verde e spiegazzata le copre le curve armoniose e due occhi dorati spiccano sul suo viso dal mento leggermente allungato. Sembra quasi mimetizzarsi col bosco circostante, come se fosse nata da un albero.

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