Il vento leggero mi solletica la pianta dei piedi, mentre osservo la pietanza ricoperta da bizzarre scaglie scure. Ha un aspetto delizioso, ma qualcosa non mi convince. Ferma in piedi sul mio palmo assomiglia quasi a un fungo, avvolto in un involucro di carta trasparente. Profuma di zucchero e uova. Mi sembra di identificare anche quello che può essere solo succo di mele.
Sono indecisa se mangiarlo oppure no. Anche solo assaggiarlo mi crea dubbi. Il profumo è invitante, ma non ho mai visto cibi del genere prima d'ora. Dove sono cresciuta non credo ci siano cibi simili, o almeno io in diciannove anni non ne avevo mai visti.
Forse si tratta di qualche sorta di dolce.
Mi mordo il labbro inferiore. Non ne conoscevo abbastanza delle tradizioni e dei costumi di quel popolo, e se pensavo alla scelta che avevo fatto, ogni tanto, una voce nella mia testa mi rispondeva con un'unica parola. Follia.
Era stato folle scappare da chi mi aveva cresciuta e sfamata. Da chi mi aveva insegnato a diventare più forte e a controllare il mio potere. Ma era stato anche tremendamente liberatorio.
Buona parte del mio spirito si sentiva così sollevato da quelle catene invisibili, che mi costringevano a restare rinchiusa tra delle mura che ogni notte diventano sempre più tristi e soffocanti. Rinchiusa per diritto di nascita. Rinchiusa per non essere temuta. Rinchiusa per rimanere accettata da un popolo magico, che non sapevo decifrare se vedesse il mio potere come un dono o come una minaccia. O peggio ancora. Come un'arma.
Lascio andare un sospiro contro quell'impasto a forma di fungo.
La donna che me lo aveva dato era stata gentile. Anche se faticavo a ricordarmela, dal momento che non le avevo prestato molta attenzione.
«Tieni mangia, aiuterà a combattere la tristezza che ti leggo negli occhi» aveva detto e poi mi aveva consegnato questo dolce, preso direttamente dalla sua bancarella, senza volere niente in cambio.
E allora cosa mi fermava? Forse era avvelenato? Dopotutto quella donna era una perfetta sconosciuta per me. E se avesse capito chi sono realmente?
Scuoto la testa e dei ciuffi ribelli mi finiscono scomposti sulla mia espressione diffidente e sfiduciata. Con la mano libera mi calo meglio il cappuccio del mantello nero sul volto.
Devo smetterla di pensare in questo modo assurdo. Quella donna era stata soltanto educata e non aveva scoperto nessuna traccia di magia in me. Stavo cercando di evitare di usarla, proprio per non attirare i miei cacciatori. Era impossibile che sospettasse che fossi una maga.
Quindi quel dolcetto non mi avrebbe ucciso. Me lo ripeto in testa diverse volte, in modo tale da convincermene.
Ero triste? Quella donna aveva visto quell'emozione riflessa nei miei occhi.
Non sapevo dirlo con esattezza. Non avevo idea di come sentirmi, né a quale emozione lasciare prendere il controllo del mio corpo. Non era stata proprio una passeggiata scappare. Ma ci ero riuscita, armata di tanta fortuna, visto che il mio piano di fuga non era per nulla ben congegnato. Ora non dovevo far altro che assaporare il mondo, come avevo sempre voluto. Ero libera.
Non avevo mai attraversato un mercato. I colori frusciavano fra di loro rincorrendosi tra i banchi di legno, che esponevano gli oggetti più disparati: dalle stoffe, a strani recipienti in terracotta, a spade, fino a sacchetti pieni di farine e spezie dall'odore pungente. Le voci calde dei venditori cercavano di attirare l'attenzione, sembravano chiamarsi tra di loro come un'eco di montagna. Le persone si accalcavano per guardare meglio le merci. L'allegria della musica. I profumi del cibo caldo, i fumi delle bevande che risalivano dalle ampolle. Le piume decorative dei tendaggi che sventolavano nell'aria.
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Polvere di Luce
FantasíaVenya è una maga a cui non piace usare la sua dote e non sa ancora che si sta per cacciare in grossi guai quando, decidendo di rompere il voto che ha fatto per scappare da chi a tutti i costi vuole riportarla sulla retta via, sale sulla prima nave o...