2-Vivere ancora un po'

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Iniziò tutto come un gioco, qualche tempo prima. Era appena iniziata l'estate, dopo un lungo periodo di studi, finalmente le meritate vacanze, che nessuno o niente avrebbe potuto rovinarci. Eravamo contenti e speranzosi, io soprattutto.
Speravo di poter fare vacanze stratosferiche, in posti magici, coinvolgendo il mio gruppo di amici. Dean, Ann, Jo, Jack, Wil, Luke, Sab e magari qualcun'altro che si sarebbe aggregato. Eravamo il gruppo più unito di sempre, tanto da considerarci una vera e propria famiglia, alla quale rivolgersi se qualcosa andasse storto, e c'eravamo tutti per tutti, a qualsiasi ora della notte o qualsiasi giorno della settimana. La nostra era più di una famiglia, era ed è un branco, destinato a sopravvivere perché è una storia meravigliosa.
Una delle prime notti di questa estate, avevo organizzato una festa a casa mia, volevo che partisse tutto con il piede giusto, e come non sfruttare l'occasione di casa mia libera da genitori e fratelli. Era tutto perfetto, doveva essere la nostra serata. Ci trovavamo spesso per una birra, o una colazione assieme, uscivamo il sabato sera, quando eravamo assieme i problemi del mondo esterno sparivano. Sarebbe stato bello far sparire anche quella sera i problemi.
Verso le 21.00 arrivò Dean, con il suo classico zaino pieno di vino, Cabernet Sauvignon di ottima annata. Chissà da dove tirava fuori così tante bottiglie. Dean era solito venire a casa mia, e io alla sua. "Mi casa es tu casa" dicevamo, ed effettivamente era vero. Mentre giocavamo alla PlayStation arrivarono tutti, portando da mangiare o da bere. Jack aveva portato le birre, Luke il Rum che Wil odiava con tutto il cuore, dopo le sue disavventure alcoliche legate al rum, ma per non essere da meno aveva portato qualcosa da fumare. Era solito infatti, che uscisse con noi quando era "tutto fatto" e vi assicuro che diventava l'anima delle feste prima di collassare.
Avevamo tutta la notte per divertirci, infatti i programmi erano vari, ma ci sarebbe stata una regola precisa, che era quella di evitare di sboccare, esperienze personali non proprio fantastiche. Lentamente si acclimatarono tutti, trattando la serata come doveva essere trattata: una tra le notti indimenticabili di quest'estate. La musica accompagnò tutta la serata, assistendo a risate, cori, gente che cantava o ballava le canzoni che venivano messe, con una coda infinita di prenotazioni allo stereo per mettere la canzone successiva.
L'estate è una stagione speciale, la mia preferita, per tanti motivi. Lasciando perdere quelli ovvi come "si vedono un botto di culi" l'estate è il periodo dell'anno in cui ci si lascia andare ed è tutto più bello. Quello delle cotte al mare, delle canzoni in spiaggia o nel bosco intorno al falò, quello delle sveglie perennemente disattivate perché non esistono orari se non per uscire. Ogni anno aspettavo con trepidazione l'estate per sperperare i risparmi di un anno intero senza mai avere rimorsi.
Quella sera, tra i fumi dell'alcol, avevamo giocato a strip poker, poi a Monopoly, e la partita durò così tanto che diventammo tutti degli imprenditori professionisti, già inseriti nel settore e la serata andava avanti con molta tranquillità, poi verso mezzanotte, l'alcol era finito del tutto e qualcuno che non lo reggeva bene era già crollato, come Jo ad esempio. Uscimmo sul balcone a fumare. Se i miei avessero sentito il minimo odore di erba mi avrebbero ucciso, quindi rimanemmo fuori senza renderci conto del tempo che passava e lentamente la gente si abbioccava. Verso le due Jack e Luke giocavano alla play a Call of Duty, ed erano così presi dal gioco che a momenti finiva un'amicizia, ma presto crollarono anche loro.

Erano le 3.15, eravamo svegli in tre, io, Dean e Ann, le tre persone più vicine al paranormale. Non sappiamo cosa sia il paranormale, da dove arrivi e come si possa spiegare, ma era un "hobby" che aveva molto coinvolto noi tutti. Quel brivido che si sente quando ti raccontano le storie di paura viene amplificato, se la storia che racconti è successa veramente ed è successa a te. Sapevamo i rischi e li correvamo volentieri, perché è parte del divertimento. A volte ci era capitato qualcosa di strano, ma mai nulla di grande. Che dire, l'ora del diavolo si avvicinava ed eravamo gli unici svegli. Senza nemmeno parlare ci eravamo capiti. Ann andò in cerca delle candele, meglio se nere o blu, Dean le diede una mano, poi con un gesso bianco fece un sigillo sul tavolo, il classico sigillo di protezione che fino a quel momento aveva sempre funzionato. La precauzione non è mai troppa. Io presi la tavola Ouija e la posizionai al centro del sigillo. Spensi le luci e la musica, Dean accese le candele. Tutto era pronto. Mettemmo le dita sulla planchette e iniziò il rituale.
Dovete sapere che, mentre si fa una seduta con la tavola, ci sono tre momenti diversi. All'inizio c'è lo scetticismo, la paura che la planchette non si muova. Quando prende vita c'è la paura e l'agitazione, ogni volta. Questi sentimenti poi vengono, a volte, sovrastati dalla curiosità o dal coraggio.
L'abitudine a questo tipo di cose ci permetteva di essere sciolti, ma non troppo.
La planchette si mosse, e domanda dopo domanda, prendevamo più confidenza. Non voleva essere una cosa seria, non era l'ambiente giusto per farlo. Ad un certo punto Dean, impavido ma allo stesso tempo stupido, domandò: "Come sarà il nostro futuro?" Con un sorriso e una curiosità per la risposta che sarebbe arrivata a breve.
Non rispose subito. Esitò. Poi iniziò a comporre le parole.
"LA FINE È GIUNTA"
I nostri sguardi si persero e da espressioni felici, divennero subito serie e preoccupate. Avevamo tutti gli occhi sbarrati ed eravamo increduli. La planchette riprese a muoversi e si diresse su "Goodbye". Le candele si spensero, lasciandoci al buio, sempre più terrorizzati e impanicati. Senza molto da aggiungere, passando palmo a palmo il muro, trovammo l'interruttore della luce che ci rassicurò un minimo. Ci riunimmo per cercare di capire cosa fosse successo e cosa significasse tutto quello, erano le 4.12, non dimenticherò mai quell'ora.
Dal nulla, mentre, ancora increduli, cercavamo una risposta, si sentirono dei rumori che venivano da fuori, in lontananza. Una nitida esplosione risuonò nel silenzio e illuminò il cielo notturno. Ci guardammo negli occhi come dei bambini felici, pensando fossero dei fuochi d'artificio. Tutto in quel momento immaginavamo e speravamo che fosse, eccetto qualcosa di così  brutto Uscimmo a controllare da che direzione provenissero i rumori, ma presto, molto presto, non vendendo nulla ma sentendo solo esplosioni diventare più forti e più vicine, capimmo che non erano fuochi, ma colpi di fucili, decine di fucili. Dean lo sapeva, appassionato di armi com'era, rimase senza parole nel sentire i colpi e darci la notizia. Il terrore non era finito. Dopo la tavola, infatti, si era trasformato in qualcosa di reale, troppo reale. Ci precipitammo in casa per pensare a un piano. Non dovevamo uscire, ma rimanendo in casa ci avrebbero trovato in ogni caso, e soprattutto, non avevamo idea di cosa o chi fosse a sparare. Io e Dean ci guardammo negli occhi, pensando, una volta come tante, alla stessa cosa: anni prima, avevamo costruito un rifugio nel bosco poco distante da casa. Non era sicuro, non era stabile, ma era meglio che stare lì. In tempo record avevamo svegliato tutti anche se a fatica. Parlò Dean, dicendo:
"Non c'è tempo per spiegare, ora. Seguite tutti me e Sam, senza fare domande. Non mi importa se siete fatti o ubriachi, avrete tempo per dormire lontano da qui, al sicuro"
Sapevamo che non saremmo mai stati al sicuro, ma mentire era necessario per la loro salvezza. Il gruppo era spaventato, com'era ovvio, ma si attenne agli ordini e in pochissimo tempo riuscimmo ad arrivare, passando per l'impenetrabile foresta, al rifugio. Arrivati cercando di fare il punto della situazione ma non era facile. I cellulari non prendevano molto, ma riuscimmo a mettere insieme abbastanza informazioni per arrivare ad una conclusione, seppur tragica: in poche ore le caserme, le basi militari, le stazioni di polizia e i luoghi pubblici di tutto il mondo, erano stati contaminati con un gas letale sconosciuto, ad opera di un ordine terroristico segreto, che aveva rivendicato l'attacco facendosi chiamare "Nuovo Ordine Mondiale".
Stupiva tutti. Non ci capacitavamo di come fosse potuto succedere. Tutto il mondo era rimasto senza forze dell'ordine in grado di fermare la rivolta. Un attacco perfetto, sfoggiato con una contemporaneità disarmante, nel momento meno prevedibile. Da poco, infatti, era finita la  minaccia I.S.I.S. Da lì a poco i dispositivi elettronici smisero di funzionare, facendoci piombare nel vuoto. Non potevamo sapere più nulla sul mondo.
La nostra fortuna era trovarci nel mezzo di un bosco, lontano da edifici e quindi da gas.
Ci decidemmo sul da farsi, ognuno doveva rendersi utile a modo suo, non potevamo stare fermi. Non volevamo salvare il mondo, ma volevamo vivere ancora un po'. Lo meritavamo in fondo

Vivere ancora un po'...
Vivere ancora un po'...
...

Un raggio di luce mi svegliò senza preavviso. A stento riuscivo a tenere gli occhi aperti, la testa mi girava e ciò rendeva ancora più difficile comprendere cosa stesse succedendo. Le orecchie mi fischiavano ancora dall'esplosione, ma lentamente tutti i sensi si rimisero al loro posto, dandomi un quadro più chiaro della situazione. Mi trovavo sotto un cumulo di macerie, ma una trave della vecchia casa aveva impedito che i detriti mi schiacciassero, uccidendomi. Dean mi incoraggiò e mi disse:
"Forza, che stai lì a fare? Dammi una mano a spostare questa roba, che pesa. Ti libero subito e ce ne andiamo da qui prima che ci scoprano." In poco tempo ero libero dalle macerie. Entrambi ce l'eravamo cavata con qualche ferita nemmeno troppo profonda, che ci eravamo promessi di curare appena arrivati al rifugio.
La pioggia aveva smesso di cadere, chissà da quanto tempo. In lontananza si vedevano le primissime luci dell'alba sorgere. Liberatomi dalle pietre, Dean mi afferrò per una mano e mi tirò in piedi, assicurandosi che fossi tutto intero. Mi stupivo anch'io di come potessi essere ancora vivo.
Mi girava ancora un po' la testa e mi fischiavano leggermente le orecchie. Nulla che un po' di riposo e qualche benda potessero sistemare. Mi scrollai la polvere di dosso e Dean mi abbracciò, senza preavviso.
"Per un attimo ho pensato fossi morto, stronzo" mi disse sorridendo
"Tranquillo, non ti libererai di me facilmente" gli risposi.
Ci fu un momento di silenzio
"Meglio andare, sicuramente il gruppo sarà in pensiero per noi, abbiamo tardato di qualche ora" dissi, rischiando di sembrare freddo, ma riportandoci alla realtà
"Andiamo" rispose lui.
Prendemmo il sacco in spalla, ognuno il suo e iniziammo a camminare, sempre cautamente per non essere visti da nessuno, verso casa.
"Sicuro di star bene?" Mi chiese di nuovo Dean
"Non preoccuparti, sto bene. Dobbiamo vivere ancora un po' no? Era giusto così, non meritavo di morire." La misi sul ridere.

Non stavo molto bene in realtà. Non avevo niente di rotto, e ciò già era un miracolo, sempre se esista qualcuno che faccia miracoli, lassù.
Avevo stampato in mente ancora quel grido, soffocato dalla lama del coltello che io avevo affondato nella sua carne. Quell'uomo era un terrorista, dunque meritava di morire, ma davvero un uomo merita tanto? Non lo so. Quello che per me era ancora peggio era proprio il fatto che fossi stato IO ad ucciderlo. La guerra non faceva per me, mai prima di allora avevo ucciso qualcuno. Implicitamente, dentro di me, si combatteva la battaglia tra razionalità e umanità, ma presto avrei scoperto quale delle due parti avrebbe sovrastato l'altra.
Mi dispiaceva mentire a un mio fratello, ma quella battaglia riguardava solo me. Non avrebbe potuto fare nulla, nessuno. Me ne sarei fatto una ragione. "Tante persone, come i soldati, hanno questo blocco, ma lo superano." Pensavo tra me e me. Non ero un soldato, mai lo sarò, ma quella che vivevo era una guerra.

Ogni tanto, mentre tornavamo a casa, guardavo la mano insanguinata e mi tornava in mente tutto quanto.
Eravamo stanchi, affamati e feriti. Ciò che entrambi volevamo era un meritato riposo. Dovevamo trovare anche una soluzione più sicura per sopravvivere senza rischiare ogni volta la vita. Ora la sicurezza sarebbe aumenta di sicuro, rendendo più difficile l'impresa.

Giungemmo al limite della foresta e già ci sentivamo a casa. Percorremmo passo dopo passo quei sentieri nascosti che conoscevamo a memoria come le nostre tasche.
Una volta giunti alla base, raccontammo ciò che era successo al resto del gruppo. Ricevemmo le dovute cure e fieramente mostravamo le provviste conquistate con molta fatica. Non era molto, non era un pranzo da chef, ma per noi era già qualcosa. Anche oggi, vivere ancora un po' ci era servito per far vivere anche gli altri. Sapevamo che non eravamo gli eroi del mondo, ma eravamo gli eroi del gruppo.
Il peggio, però, doveva ancora venire, e la guerra era appena iniziata.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 23, 2018 ⏰

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