1-Invisibili nella Notte

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Era una notte piovosa d'estate, una notte dove l'unico rumore che si sentiva era quello dei tuoni. Mi facevano paura, quando ero bambino. Scappavo dal mio letto a quello dei miei genitori, non sopportavo i rumori forti. Ora, invece mi rilassano. Ci aiutano, aiutano tutti ad agire nell'ombra, ci danno quel secondo in cui possiamo fare anche rumore, nel quale non possono sentirci. E' un automatismo, anche Dean, che è di fianco a me lo sa. Non credo gli interessi nulla, anche se avremmo tutto il tempo del mondo per parlarne, in ogni caso non ne parlerei.

Ci eravamo promessi di non parlarne, niente che ci ricordasse la nostra vita prima del disastro, ci piaceva chiamarlo "secondo big bang". Parlare di quando eravamo felici e senza pensieri non ci aiuta, nemmeno ad ammazzare il tempo. L'abbiamo visto, l'abbiamo provato. Ognuno di noi lo prova ancora tutti  giorni sulla propria pelle ma non vogliamo renderci partecipi del nostro dolore, perché tempo per piangerci addosso... non ce n'è.

Siamo accovacciati ai piedi di un cumulo di terra, io e Dean. Le torce dei terroristi non ci devono vedere, ma abbiamo un disperato bisogno di cibo, più possibile. Per noi, per il gruppo, perché meritiamo di sopravvivere ancora un po'. Ci osserviamo per qualche secondo, entrambi con il fiatone per la corsa fatta per raggiungere quel momentaneo riparo. Studiamo i movimenti di guardia: due torce nella notte si muovono intorno al perimetro del negozio, attendono, parlano. Sono astuti, loro. Dopo una settimana passata ad ispezionare casa per casa per controllare se ci fossero stati sopravvissuti in questo paese, hanno deciso di aspettare. Un giorno le scorte dei pochi superstiti sarebbero finite, e l'unica soluzione ragionevole sarebbe stata di fare rifornimento in questo mercato. E hanno ragione. Gli altri poveri abitanti, sono stati uccisi tutti, credo. Per il virus o a colpi di fucile, durante le ispezioni. Il dubbio, la nostra paura più grande, è che qualcuno per non morire si sia convertito e sia passato dalla parte dei cattivi. Il terrore di ritrovarci con il fucile puntato in faccia da qualcuno che un tempo era un nostro amico, ma che ha deciso di voltarci le spalle. Nessuno ne parla mai, ma i contatti sono impossibili da quando la rete internet è stata manomessa. Di tante persone non sentivamo più parlare da tanto tempo. Cecil, ad esempio. Sono sicuro che tutti noi avremo fatto un solo pensiero su dove potrà essere e come potrà stare, ma rimanevano solo supposizioni, fantasie. In queste situazioni si spera solo il meglio, anche per quello che prima poteva essere l'acerrimo rivale o l'eterno nemico. In questi casi il male non si può augurare, perché si conosce cosa ci sia dall'altra parte, e non si augurerebbe a nessuno, mai.

Noi siamo riusciti a scappare, a metterci in salvo per miracolo. Appena abbiamo sentito gli spari avvicinarsi, ci eravamo nascosti nel bosco. Sarebbe stato impenetrabile, per chi non lo avesse conosciuto, ma io e Dean lo conoscevamo bene, benissimo. Non si sa per quale strana ragione gli adolescenti si spingono all'avventura, ma quel bisogno irrefrenabile ci salvò. Anni prima costruimmo un rifugio, o così ci sembrava. Che ci avremmo fatto? Non lo so, sinceramente. Ma era il nostro luogo. Quello che da ragazzini problematici ci permetteva di fuggire dal mondo.

La tensione ora era altissima. Sapevamo di rischiare la vita, più che mai. La paura si leggeva nei nostri occhi, ma dovevamo farlo. "Moriremmo lo stesso", così ci consolavamo, e in effetti era vero, ma non volevamo morire ora. Con un cenno rassicurante ed un sorriso, Dean si mise il cappuccio in testa, così feci anch'io. Quella felpa l'avevamo comprata qualche mese prima, quando tutto ancora era normale. Ci piaceva, ci ricordava i cappucci di Assassin's Creed, e per questa "missione" erano perfetti: lunghi abbastanza da nascondere gli occhi, ma comodi e con un'ottima vista.  Con un gesto repentino, sfruttando il momento giusto, la falla nel giro di guardia, con uno scatto felino, ci avvicinavamo alle mura dell'edificio. Eravamo vestiti di nero e molto pesante, e tutto veniva appesantito dalle fredde gocce di pioggia che continuavano a cadere. Iniziavo a sentire i vestiti umidi ma ci avevo fatto l'abitudine, giocando a calcio. Stavamo attenti a non essere visti, controllando di continuo verso dove le due torce stessero puntando e allo stesso tempo per terra. Correre, dritto, fino alla porta non sorvegliata, senza mai fermarsi. Questo era il piano, non ci interessava il resto. Ce la saremmo cavata, in qualche modo.

Correndo affianco all'erba alta, cresciuta nella trascuratezza del posto, eravamo arrivati alla porta, stanchi e sempre più tesi e nervosi. Non dovevamo fare errori, non adesso. Sapevamo che i terroristi incaricati di assediare il negozio non erano solo due, ma la prima coppia l'avevamo quasi superata. Non dovevamo fare rumore con la porta, ma avevo un piano. Aspettai il lampo, poi contai con le dita, guardando quello che da una vita era il mio compagno d'avventure. "3, 2, 1..." Il tuono. In un secondo, entrambi eravamo dentro, senza paura di aver fatto rumore, era coperto dall'assordante rumore del tuono.

Chi dice che i videogiochi non insegnano nulla non sa che dice. Giocando avevamo imparato a muoverci nell'ombra, senza dar nell'occhio, e ispirandoci, ce la cavavamo anche con il parkour. Non sarebbe stato un problema scappare, se non avessero avuto fucili, ma ci avremmo pensato solo nell'eventualità, era inutile farsi paranoie inutili, e la parte più difficile sarebbe arrivata dopo, nell'uscita. Ad ogni modo ora eravamo dentro. Il buio non ci favoriva di sicuro, ma ci dava un margine di sicurezza in più. Con la più alta cautela del mondo avevamo riempito i due sacchi che ci eravamo portati con provviste. Ne servivano tante, al rifugio eravamo in tanti. Carne, alimenti in scatola, qualche coperta e medicinale. Non potevamo permetterci molto ma sarebbe durato, o saremmo tornati nuovamente. Io presi anche qualche coltello dal reparto cucina, erano comunque una buona arma di difesa, nonostante non avessi mai torto un capello a nessuno. Ne diedi un paio a Dean.

Eravamo sul punto di uscire dal negozio e fare la strada inversa, quando una guardia ci sorprese. Non ci eravamo accorti della torcia, presi dal fare raccolta di cibo e armi. Quest'uomo urlò a squarciagola ai suoi compagni di correre verso di lui, dicendo di aver trovato un paio di intrusi, e con il suo fucile iniziò a sparare verso di noi. Ovviamente cercavamo in ogni modo di scappare ma non sapevamo come. La nostra velocità giocava a nostro favore, stavamo prendendo le scale che portavano al tetto, sperando di trovare una via di fuga da lì. Aperta la porta del terrazzo, pensavamo di averla fatta franca, quando una guardia, nascosta dietro alla porta, bloccò Dean da dietro. Lui cercava di dimenarsi, ma non riusciva. Era un bestione, alto e muscoloso. con il suo accento russo da classico cattivo ci disse: "Non andate da nessuna parte voi".

Fu un attimo, rapido, istintivo. Il mio coltello affondò nella parte sinistra del collo dell'uomo. Sono sicuro che non era un colpo forte, volevo solo ferirlo. Invece stramazzò a terra esattamente come nei film. Un colpo secco, avevo appena ucciso un uomo. Passarono in paio di secondi in cui ero immobile, contemplando quello scempio, con il sangue caldo che si mischiava alla pioggia fredda. Dean mi strattonò e mi portò via a forza dicendomi: "Non c'è tempo, salta" prese la pistola dell'uomo, la mise nel sacco e saltò. Feci lo stesso. L'oscurità dentro e fuori di me impedivano di capire quanto alto fosse il salto, ma non c'era altra via.

Secondi interminabili passano ogni volta che sei in volo. Un millisecondo tra la concentrazione del salto e dell'atterraggio, un solo istante di puro vuoto. In quel momento ti senti libero, ma devi guardare dove stai cadendo, perché se ti rilassi troppo, non ci sarà un bel finale. Lo pagai a mie spese, quella rottura della caviglia anni fa, per un atterraggio sbagliato dopo un salto. Ora lo so, come si atterra e non ho mai più sbagliato un solo salto. 

Nemmeno questo avevamo sbagliato, né io né Dean. eravamo in piedi, scossi e agitati, ma il nostro vantaggio era finito, dovevamo correre per la nostra salvezza. Avevamo iniziato a correre, trenta metri forse, quando iniziarono a sparare dal nell'oscurità sperando di prenderci. Una pioggia di colpi, ma siamo stati fortunati. Su qualsiasi di quei proiettili ci sarebbe potuto essere stato uno dei nostri due nomi, e per noi sarebbe finita. In quei momenti ti senti vivo e morto nello stesso tempo. Ci eravamo fermati dopo circa cinquanta metri dietro ad un'abitazione abbandonata e diroccata, al riparo dei colpi dei fucili per riprendere fiato, ce l'avevamo quasi fatta. Quasi. Uno degli uomini, immagino, aveva lanciato una granata, suppongo. E' assurdo, addirittura per un terrorista. Ci fu un'esplosione, un rumore assordante, e in un battito di ciglia, entrambi venivamo sotterrati da un cumulo di macerie che ci crollava addosso. Eravamo sul punto di farcela, ma era finita. Eravamo finiti.

In quella notte piovosa, gli spari si erano fermati. Un solo lungo eco dell'esplosione e un polverone che, come noi poco tempo fa, veniva crivellato dalla pioggia incessante.

BIG BANG IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora