L'inverno degli esclusi

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Di notte, tra le insegne spente e il fumo nei vicoli, era la vita. I passi che si calpestavano, i respiri silenziosi, il tripudio degli spari andati a segno: la vita era quel campo di battaglia e lui il solo protagonista. Cioè che restava dopo le parole dal ricevitore era la sua stessa esistenza.

Il nemico era un'ammucchiata di disperati, dalle identità del tutto coperte da pesanti mantelle strappate. Tra le sue lame nere rimanevano intrappolati come uccellini in gabbia, anche più di uno alla volta. I loro colpi erano talmente deboli e senza mira che dopo un po' Akutagawa aveva iniziato a confonderli con attacchi a sorpresa per puro divertimento: come se fossero burattini, lasciava che girassero a largo, spaventati dalla sua Abilità, per poi impalarli dove sapeva sarebbero scappati. Ma anche quel gioco prevedibile cominciò presto ad annoiarlo. E ad attacco finito, un grande senso di frustrazione si impadronì di lui.

«Che merda... quel bastardo di Dazai mi riderà sicuramente in faccia la prossima volta che mi vede».

Un uomo delle ultime file, quelle armate di mitragliatrici, fece un paio di passi verso di lui. Senza dire nulla gli porse il ricevitore, ancora collegato alla Vetta. Ma a gracchiare non era il boss.

«Akutagawa, mi senti? Sono Hirotsu».

Per tutta risposta, il ragazzo strappò l'arnese di mano al soldato. Era seccato, sapeva già quel che gli avrebbe comunicato e ne aveva abbastanza di quegli inutili rimproveri.

«Che vuoi, vecchio? Devi farmi la tua stupida ramanzina un'altra volta?».

Dall'altro lato, si schiarì la voce e continuò come se nulla fosse.

«Ritiratevi il prima possibile. Il nemico ha sfruttato il nostro attacco come esca per attaccare un'altra base. Ci sono già tre vittime tra i nostri delegati minori al deposito 76. Ma ora le loro intenzioni ci sono più chiare».

«Mi stai dicendo che ci siamo fatti prendere per il culo, quindi?».

«Intanto lasciate quella zona il prima possibile. Sta per arrivare la sezione governativa».

Akutagawa digrignò i denti. Di nuovo, non era servito a nulla. Di nuovo, Dazai avrebbe avuto ragione. Diede un calcio a una pattumiera lì vicino.

«Fallo almeno per Higuchi. Lo sai quanto sia preoccupata per te ogni volta che ti comporti in questo modo. E se proprio ci tieni, fallo anche per Daz-».

Al suono di quelle iniziali, scaraventò il ricevitore a terra.

«Non provare nemmeno a nominare il suo nome».

Dietro la sua furia, le truppe si riunivano pronte alla fuga.

***

«Ricordo ancora quel giorno. Fuori c'era il diluvio ed ero solo, seduto in un angolo a leggere ancora quel libro. Senza che me ne fossi accorto era comparso un uomo, in piedi davanti al mio tavolo e vestito con una certa eleganza. Non riuscivo a capire cosa volesse, ma fissava la mia copertina compiaciuto come un padre con il proprio figlio. Poi mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto quanto quel che stavo leggendo mi piacesse. Gli ho lasciato intendere con un cenno del capo che non avevo molta voglia di parlare con uno sconosciuto, ma quello sembrava non aver capito e attendeva la sua risposta come se gli fosse dovuta. Dopo un po' allora gli ho detto che mi aveva appassionato molto, ma che quei primi due libri che ho sempre portato con me non erano più abbastanza e avevo bisogno del terzo. Ma lui non ne era rimasto molto soddisfatto: con un sospiro preoccupato, stringeva nervoso il suo bastone da passeggio tra le mani, avvolte in dei guanti bianchi immacolati. Poi però ci aveva messo poco a calmarsi, e allora se ne era uscito con una proposta: quell'ultimo libro lo avrei potuto scrivere io. Sentendo quelle parole ho pensato fosse un pazzo, ma se io stringevo ancora quelle pagine per rassicurarmi, lui continuava a parlarmi di quel che avrei potuto raccontare. A quel punto l'ho interrotto dal basso della mia opinione e gli ho confessato che io, da assassino quale ero, non potevo permettermi di scrivere nulla sulla vita. Allora, con una fiducia sconsiderata per uno come me, mi ha spiegato che tutti hanno qualcosa da raccontare e che se mi fossi aggrappato alla scrittura forse sarei potuto diventare un uomo buono. Un uomo migliore. Ed eccomi qui, ancora tra le mani della mafia. Eppure mi sento vivo».

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