Ombre di uno scatto

473 47 61
                                    


Uno, due, tre scatti.

Quella mattina c'era un bel cielo terso e senza sole. L'acqua del mare si godeva la tregua del vento, che stancatosi di soffiargli addosso per così tanto tempo doveva aver cercato riparo altrove, portando nella sua scia gli ultimi istanti di vita dei tre agenti, ora corpi baciati dal sale della battigia. Ognuno di loro aveva ricevuto un singolo colpo di pistola al cuore: la stessa che era stata lasciata nella giacca del terzo, quello col fiocco rosso. Eppure, il piccolo deposito a cui facevano la guardia era stato trivellato in tutte le sue entrate, come se quelli non vedessero l'ora di trovarli. Dopo che il vecchio Hirotsu gli ebbe chiuso le palpebre stanche, si mise solennemente davanti a loro e cominciò a pregare. Motojirou continuò comunque imperterrito a scattare foto ai malcapitati, abbagliando le loro membra pallide e i capelli lucidati dalla spuma delle onde. Da qualunque parte la si guardasse, era una morte perfetta.

«Vedi di smetterla, Motojirou. Lascia che le loro anime ascendano in pace, per favore».

Dopo averlo ripreso di sottecchi, chiuse gli occhi e continuò a recitare nella sua mente preghiere di cordoglio, stringendo a se un libricino nero. I pochi uomini di fiducia alle sue spalle fecero lo stesso, affondando le ginocchia nella sabbia umida. Nel frattempo, il tasto della vecchia macchina fotografica non rispondeva più alle pazze pretese di quell'ormai navigato membro, un tempo giovane apprendista della Port Mafia. Quel ruolo gli stava stretto: ne era talmente annoiato che non riusciva più a capire se i passi felpati e gli spari sempre più vicini che giungevano alle sue orecchie fossero reali o meno. Voltatosi, scoprì non essersi immaginato nulla: ma lo scenario era ben diverso da ciò che si aspettava, anche se ugualmente divertente. Sghignazzò alla vista di quel bambino, ormai un dirigente, così tanto cresciuto.

«Dirigente Dazai, la stavamo aspettando» Non ricevette risposta se non una musichetta fastidiosa, ma Hirotsu non si scompose e continuò con la comunicazione.

«Sono stati ritrovati all'alba di stamattina, verso le quattro e venti: Toshio Mikazuki, Yusuke Michizawa e Jun Obata. Ho già chiesto ai miei uomini di cercare i familiari o eventuali conoscenti per dare loro la notizia della morte. Tutti e tre hanno servito il boss con fedeltà. Sono stati uccisi in pochi istanti e su uno di loro abbiamo ritrovato una vecchia pistola: per la precisione una Graugeist europea. In più, abbiamo altre foto riprese dalle due videocamere di sorveglianza».

Dopo tanti altri spari, di nuovo quel motivetto fastidioso. Dazai, nonostante ne fosse preso, lanciò il gioco tra le mani giunte in preghiera

«Fammi un po' vedere... intanto prova a fare qualcosa per quel livello!».

«Certo, ma c-co-cosa vorrebbe...? Oh, oh...!».

La partita era già cominciata anche se Hirotsu ancora tentennava sui comandi. Motojirou alla sua destra lo osservava divertito, considerando di strapparglielo di mano e divertirsi un po'.

Dazai si chinò davanti ai tre corpi. Li contemplò per qualche minuto in silenzio, come se volesse unirsi a loro: poi cominciò a condividere le sue considerazioni. Come pensava, non erano dei semplici dilettanti: quella azione era ben mirata, doveva avere per forza un significato, un obiettivo più alto. Fin dall'inizio, non era l'organizzazione in sé che volevano attaccare, semmai qualcosa di interno ad essa. Più precisamente qualcuno. Alla fine, Ango aveva ragione.

«Le foto, grazie». Ordinò e le ebbe subito.

Erano un paio di scatti mossi, rubati nei pochi istanti in cui gli incappucciati erano rimasti appena visibili: dovevano essersi mossi in modo tale da coprirsi a vicenda e ci erano riusciti, rubando anche le casse con le armi da fuoco. L'unico problema restava il come fossero riusciti ad eludere la sicurezza e, di nuovo, il perché di quel che stava accadendo.

YokohamaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora