Interpretare un anatra

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È passata una settimana.
Sette giorni in cui non è accaduto praticamente niente. Mi sono quasi abituata al turno notturno, anche se questo vuol dire dormire per la maggior parte del giorno e perdere del tempo prezioso da dedicare alla mia famiglia.

Per mia fortuna ero stata quasi sempre nella sala visite, con David e Manuel. Ilaria era quasi fissa nella sala d'attesa, quel ruolo le donava di più anche se non sapeva relazionarsi bene con le famiglie dei pazienti.

Tornavo a casa più stanca, ma anche più felice. Stavo imparando tanto, aiutavo le persone e mi sentivo davvero realizzata. Oltre al tirocinio, ho accompagnato più volte Diana al parco per studiare le sue adorate papere. Abbiamo fatto la spesa insieme un sacco di volte, mangiato un gelato e visto qualche film al cinema. La cosa strana?

Ho sempre avuto la sensazione che qualcuno ci stesse osservando. Ovunque andassi sentivo il peso di un paio d'occhi su di me, ma puntualmente mi guardavo intorno e non vedevo nessuno. Stava diventando frustrante. Dovrei dormire di più e dire più no a mia sorella ma non ci sarei mai riuscita.

<<Quindi tra poco hai la recita?>> domanda David. Stacco un attimo il viso dal cellulare per controllare l'orario e sbuffo.

<<Si, sono stremata. Ci vorrà una caraffa di caffè per tenermi ulteriormente sveglia.>> dico afflitta, anche se so che non posso tirare avanti così. Prima o poi il mio corpo chiederà il conto, spero solo lo faccia il più tardi possibile.

<<Hai già delle belle borse sotto gli occhi, ma oltre che fisicamente, sai cosa succede quando dormi poco per troppo tempo.>>

Già.
Perdo solo i freni inibitori, dicendo tutto ciò che mi passa per la testa. Senza filtri.
Senza pensarci veramente.

Mi mettevo spesso in una marea di guai a causa della mia linguaccia. L'ultima volta sono stata sbattuta fuori dal medico di turno, mi aveva anche dato della "sciagura che cammina". E invece di andare via e preservare quel pizzico di dignità che mi rimaneva, l'avevo guardato ed ero scoppiata a ridere come una vera pazza prima di crollare svenuta sul pavimento lurido. Avevo superato il limite posto dal mio fisico, ma ora mi piaceva pensare di aver imparato a gestire il mio corpo, a coglierne i segnali prima di perdere il senno.

<<Ehm, certe cose non accadranno più.>> borbotto, non credendoci nemmeno io. Sento David ridacchiare, sa quando mento.

<<La recita è nella nostra vecchia scuola elementare giusto?>> chiede, con un tono strano.

Da quando siamo tornati nelle rispettive abitazioni abbiamo iniziato a messaggiare su WhatsApp, e alla fine stiamo parlando direttamente a voce. Oltre i turni purtroppo non ci siamo visti molto, nemmeno per scambiare due chiacchiere davanti ad un aperitivo. Ma è strano che non sia già crollato sul letto, come al solito.

<<Si. Ah i bei vecchi tempi...>>

Sdraita di schiena sul letto, fisso le stelle fluorescenti attaccate al soffitto. Come un grande cielo stellato ma senza luna, non sono riuscita a trovarne una in nessun negozio.

<<Ancora ricordo quando sei caduta come un pesce lesso dallo scivolo più alto del cortile, hai frignato con la maestra ma non hai pianto. Effettivamente tu non piangi mai.>> dice David, e ha ragione ma solo in parte.

Odio piangere in pubblico, preferisco affrontare il dolore in privato, lontana da tutti. Assistere alle espressioni compassionevoli delle persone...semplicemente non lo sopporto. Così mi chiudo nella mia camera a chiave, metto la musica e mi sfogo. Una volta terminato e con gli occhi non più rossi, esco e faccio finta che non sia successo nulla. Non ho bisogno della pietà di nessuno.

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