La dolcezza dell'Anima

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Il mio passo è tremolante, incerto. Una stretta viscida attanaglia il mio cuore. Continuo ad avanzare in questi tetri corridoi senza una meta precisa. 

Dinanzi a me non vi è nulla, un cunicolo oscuro privo di qualsiasi fine. La melodia tenue del piano si è arrestata da un bel po', ma, nonostante questo, ho continuato a camminare con la speranza di trovare qualcosa, ma non c'è nulla.

Mi fermo di scatto e ammiro il percorso da me imboccato.

«Ho paura», mormoro, prima di muovere un passo per tornare indietro nella direzione dalla quale provengo. Voglio rifugiarmi nuovamente in quel tedio sicuro.

«Non farlo!», sento all'improvviso.

Mi volto e mi ritrovo dinanzi la figura di una bambina vestita con un abito bianco consunto. Mi fissa con i suoi occhi castani, mentre abbraccia l'orsacchiotto che stringe fra le mani.

Ha il viso inumidito dalle lacrime e delle catene che le limitano i movimenti. Esse sono evanescenti, seguo con lo sguardo la loro origine e noto, con somma sorpresa, che sono legate alle mie. Le sue costrizioni sono legate indissolubilmente alle mie.

Poco più in là noto la figura di una ragazzina con i capelli castani cortissimi e le iridi nocciola che mi fissa inespressiva. Le sue catene sono legate a quelle della bambina e alle mie.

È vestita completamente di nero, mentre è appoggiata contro la parete alle sue spalle con le braccia conserte.

«Smettila! Perché lo fai?», continua a dire la bambina, piangendo.

«Fare cosa?», le chiedo confusa.

«Non ci riconosci?», mormora, indicando prima se stessa e poi la ragazzina alle sue spalle.

«Lascia stare, è inutile», esordisce quest'ultima, fissandomi con disprezzo.

«È il niente adesso, non può far nulla», conclude infine, fissando un punto indistinto dinanzi a sé.

«Mi fai male, guarda! Io non posso resistere a lungo, non c'è la faccio più», dice la piccola, mentre la sua pelle si riempie di crepe, come se fosse una bambola di porcellana che si è infranta al suolo.

«Provo tanto dolore, smettila, ti prego», mi supplica sofferente.

Mi si stringe il petto, vedere quegli occhietti scuri così disperati mi infondono un profondo stato di inquietudine.

«Mi dispiace così tanto, cosa posso fare per aiutarti?», le chiedo dolcemente.

«Riddami la mia anima, ti prego, non c'è la faccio più a vivere senza. Ho bisogno della mia innocenza, ti prego», il suo pianto si fa ancora più intenso.

Mortificata le dico: «Sono costernata, ma non so come fare...».

Non riesco a concludere il mio discorso perché la ragazzina, restata in disparte fino a quel momento, strattona le catene della bambina, attirandola a sé.

«Ti ho detto che lei è incapace. Non potrà mai aiutarci», afferma, mentre scompaiono dalla mia vista.

«Cosa? No, no! Troverò un modo!», urlo, ma non ricevo risposta.

Resto per qualcosa secondo ad osservare dinanzi a me, finché non scorgo una luce tenue illuminare il corridoio.

Mi precipito in tale direzione, ritrovandomi dinanzi ad un enorme porta socchiusa, dalla quale fuoriesce uno spiraglio di luce.

La apro, entrando nella stanza. Appena il mio sguardo si accosta a questo ambiente, la sinfonia del piano, da me udita poco prima, ritorna a riecheggiare nell'aria.

Mi giro e noto che, voltato di spalle, c'è il ragazzo misterioso che suona il piano.

La sua figura è tesa. È seduto sullo sgabello di questo pianoforte nero, dando vita ad una melodia nostalgica e struggente.

Mi siedo al suo fianco, ammirando le sue dita affusolate pigiare con maestria i tasti, sfiorandoli come fa un amante con la propria consorte quando saggia con delicatezza il suo corpo.

«E come farai?», mi chiede all'improvviso, alzando il suo viso su di me senza smettere di suonare.

La sua pelle riflette di luce propria, impreziosita dal bagliore fioco che penetra dall'enorme finestra presente nella stanza.

«Cosa?», chiedo totalmente stregata dalla sua figura.

Le sue labbra scarlatte si incurvano verso l'alto, «hai detto che troverai un modo, come farai?».

Sussulto. «Non lo so...

Come posso restituirle la sua anima?», chiedo afflitta.

«Combattendo», sussurra il ragazzo al mio fianco, riportando la sua attenzione sui tasti.

«Ma già lo faccio, ogni giorno».

«Si, ma hai smesso di credere. Hai lasciato che le tue motivazioni fluissero via, facendo sì che la tua battaglia si trasformasse in una guerra sterile e senza senso», esordisce.

«Ma non posso farci nulla, la meta è ancora così lontana e io non sono sicura che ci sia qualcosa ad attendermi una volta arrivata a destinazione. La mia anima si sta frantumando lentamente», dico, singhiozzando. Le lacrime rigano imperterrite il mio volto.

Il giovane al mio fianco smette di suonare e si gira completamente nella mia direzione.

Protende le sue braccia verso di me, stringendomi in un contatto caldo e confortante, appoggio la testa sulla sua spalla, mentre continuo a piangere senza alcun freno.

Accosta le sue labbra in prossimità del mio orecchio e mormora: «Non importa quello che ci sarà lì ad attenderti, se avrai combattuto con coraggio, passione, amore, qualsiasi cosa ti sarà riservata, ne varrà sempre la pena. Il germoglio fiorito sarà intriso di buoni propositi e affetto, un sentimento che ti renderà libera, a prescindere dal tuo modo di spiccare il volo. Tienilo a mente, dolce creatura».

Mi bacia una guancia, dopodiché restiamo fermi, così, l'uno perso nelle braccia dell'altro per un tempo che, dinanzi alle mie iridi, sembra eterno.




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