Non sempre il bene vince sul male.

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Rachel se ne stava poggiata con una spalla al muro malandato e grigiastro della camera dell'istituto di riabilitazione che le era stata affibbiata; istituto nel quale era stata rispedita una volta fuggita dall'edificio nel cui seminterrato si era risvegliata, soltanto qualche mese prima, incoscente di dove si trovasse o come lì ci fosse arrivata. Scostava di tanto in tanto la tendina lercia della finestra per sbirciare quel pezzetto di mondo che le era concesso vedere, illuminato, quella sera, dalla fredda luce di una luna imperfetta ma ugualmente bellissima. Le ricordava lui. I pensieri, che mai l'avevano lasciata in pace da quando si erano separati quasi un mese prima ormai, si fecero sempre più chiassosi e insistenti della sua testa.

Chissà dove sarà ora. Sempre ammesso che non l'abbiano catturato, o peggio, ucciso. Se lo figurò legato alla sedia elettrica, con la testa coperta dal cappuccio e i polsi stretti dalle cinghie, in attesa dell'esecuzione della pena capitale alla quale tante volte era sfuggito. Consapevole che forse, in quel mondo crudele e privo di umanità che lo detestava, avrebbe di nuovo potuto sentire il fuoco sulla pelle, senza poter fare nulla per salvarsi.

Scosse il capo con vigore per scacciare quei brutti pensieri. No. Non voleva neppure pensarlo. Si sarebbero visti di nuovo, ad ogni costo. Lui sarebbe tornato da lei, come le aveva promesso. E le promesse si mantengono, no? Ci sperava con tutta sé stessa e il fatto che lui odiasse profondamente le bugie contribuiva a rinvigorirla di speranza nei momenti di più pesante sconforto.

Sospirò nel tentativo di espellere tutta la nostalgia e la preoccupazione che si erano impossessate di lei e si spostò dinnanzi alla scrivania trasandata della camera. Si tastò il collo in cerca della collanina e la estrasse da sotto la maglietta. La piccola chiave color argento che fungeva da ciondolo scivolò verso il basso e cadde nel suo palmo disteso quando si slacciò la catenina dal collo. La infilò nella toppa di uno dei cassetti e girò per tre volte prima che la serratura scattasse con un sonoro 'clack'.

Lo tirò verso di sé, aprendolo.

Nonostante aprire quel cassetto fosse ormai rituale di ogni giorno, il contenuto non smetteva mai di farle battere forte il cuore. Illuminato dalla luce della luna che entrava dalla finestra, in un angolo, riluceva invitante il metallo della pistola che Zack le aveva insegnato ad usare quando ancora era prigioniera nell'edificio. La mano le formicolava dalla voglia di prenderla in mano.

Accanto ad essa, infilata un pò sotto l'impugnatura, c'era una foto. La prese per osservarla più da vicino. Era una fotografia di loro due insieme. Ridacchiò sommessamente nel ricordare quanta fatica avesse dovuto fare per convincerlo ad entrare con lei in quella cabina abbadonatata a sé stessa in una strada isolata della periferia di una città non lontana. Aveva insistito talmente tanto al che lui, portato all'esasperazione, dopo averla minacciata diverse volte di ridurla a brandelli con la sua falce, aveva ceduto. Così avevano fatto la fotografia assieme, stretti all'interno della cabina delle fototessere. Giusto pochi secondi di svago, prima di ridarsi alla fuga.

Studiò il suo volto coperto dalle bende, tirato in un sorriso forzato e non riuscì ad impedire che le sue labbra si piegassero all'insù. Era così bello quando sorrideva. E quel sorriso le mancava. Terribilmente. Strizzò gli occhi, cercando di accumulare tutta la forza necessaria di cui disponeva per reprimere la nostalgia schiacciante che la opprimeva. Odiava quel posto. Odiava quella vita, se sprecata così. Avrebbe solo voluto essere con lui, ovunque si trovasse.

Il rumore di una folata di vento che faceva sbattacchiare la finestra contro lo stipite, la riportò alla realtà. Non ci prestò quasi attenzione finché, all'improvviso, mentre riposava la foto nel cassetto, percepì chiaramente una presenza alle proprie spalle. L'istinto di sopravvivenza che aveva largamente sviluppato stando con Zack prese immediatamente il sopravvento. Afferrò in uno scatto fulmineo la pistola dal fondo del comodino e, girando su sé stessa di 180°, tolse, con un movimento del pollice, la sicura. Il braccio le si distese in automatico; la canna si ritrovò così puntata alla testa dell'alta e slanciata figura scura ritta in piedi di fronte a lei.

Angels of death: one-shotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora