VI

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Il lupo correva a rotta di collo, la pelliccia scura ricoperta di foglie e sudore. Scosse il muso, mentre il passeggiero che lo cavalcava gli sussurrava nelle orecchie.

- Caleb! Ti vuoi fermare!! - esclamò Diamante, sollevandosi di colpo per rallentargli la corsa.

- No! - ruggì il ragazzo, accelerando - Devo proteggere te. E anche lui. Era una mia responsabilità! È stato rapito perché non ero attento!! -

- Senti, anch'io sono in pensiero per lui, ma facendoci ammazzare non lo aiuteremo!! - ribatté lei, scuotendo la testa. Correvano da ore, ed erano entrati da solo poco tempo nel territorio dei Vendicatori.

Sette ore prima...

La stanza sembrava vorticarle intorno, mentre Caleb la chiamava, scuotendole un braccio.

Le tirò uno schiaffo, vide la sua mano partire ma non sentì dolore.

Le orecchie le avevano smesso di funzionare quando il lupo le aveva rivelato del rapimento di Tom.

Dei puntini neri entrarono nel suo campo visivo, mentre le sue labbra si muovevano da sole, sussurrando a ripetizione delle parole.

- L'hanno rapito. Hanno rapito Tom... - la voce si bloccò nella sua gola, producendo un cupo gorgoglio.

- Diamante... - la chiamò dolcemente Caleb. Le si appannò la vista, mentre l'udito le tornava e la testa smetteva di girarle. Una lunga fila di lacrime le si accalcarono sul viso, scendendo calde lungo le guance.

- Tom. - ripeté il suo nome dolorosamente. - Colpa mia, è solo colpa mia... - si strinse il volto tra le mani, singhiozzando sottovoce, come per non farsi sentire. L'altro sospirò, sollevandola dal pavimento sulla quale si era accasciata e stringendola tra le braccia. Le accarezzò i capelli.

- Ti aiuterò a liberarlo. - promise in un soffio.

Otto ore dopo...

Diamante affondò la borraccia nella superficie del ruscello, che scorreva nella sabbia delle Terre Maledette. Mise nell'acqua del cloro e la filtrò. Poi bevve. Un sorso. Due. Fece scorrere la freschezza del liquido sulle pareti, arse dal pianto, della sua gola.

Si passò una mano sul naso, riflesso inutile perché non le gocciolava.

- Diamante, su, dormi. - la chiamò Caleb dall'interno della tenda, che avevano piantato poco tempo prima.

- Non ci riesco. - mormorò. Il ragazzo si sollevò sui gomiti e la fissò con gli occhi gialli, residuo della trasformazione in lupo. - Pensi che lo stiano torturando? - l'altro aprì bocca per rispondere. - No, lo so che mi diresti che non lo stanno facendo per rincuorarmi. Ma so che non è così! - Caleb alzò le mani e le fece gesto di andare da lui.

Diamante gli si accoccolò accanto, poggiando la testa su una sua spalla.

- Non ho ricordi. So che tu sai... mi potresti dire com'ero? -

- Vuoi la verità? -

- Certo. - si stupì lei. Cosa intendeva dire?

- Va bene. Ma io ti avevo avvertito. Quando... ehm, prima della malattia che decimò la nobiltà e ti costrinse ad addormentarti, eri una principessa. Nell'aspetto, nelle parole, negli atteggiamenti. Non eri la persona più simpatica di questo mondo, ma nemmeno la seconda. Eri, ecco, vicino al fondo della classifica. D'altronde, io ero un mozzo di scuderia, nemmeno uno stalliere, e ti vedevo atteggiarti ogni giorno con i figli dei nobili. Eri antipatica. Trattavi gli altri dall'alto in basso, sempre intransigente e poco aperta al dialogo. Non eri come tua madre. Lei veniva dal popolo. Una donna di umili origini, dicevano in giro. Qualcuno pensava che avesse stregato tuo padre e che tu fossi pronta a fare lo stesso. Detta sinceramente, anch'io pensavo così. Poi mi dissero la verità e allora capii. Perfino prima di te. -

- In che senso, scusa? -

- Tu avevi quattordici anni, io ventiquattro. Mi diedero un aspetto più "giovane" perché pensavano non ti saresti fidata di uno molto più vecchio. Penso che abbia funzionato. - si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, e posò lo sguardo a terra, sentendo quello indagatore della ragazza su di lui.

Sentendola zitta, alzò il volto.

Lei lo fissava in modo strano.

- Che c'è? Se pensi che io ti odi ancora ti sbagli. Sei cambiata. In meglio. Adesso sei... uh?! -

La scrutò. Non aveva reagito alle sue parole, ma aveva continuato a fargli la radiografia alla faccia. - Che c'è? -

Non rispose.

- Ti sei offesa? Senti, io... -

Diamante si chinò in avanti, fermandosi quando i loro nasi si sfiorarono. Chiuse gli occhi e premette le proprie labbra sulle sue.

Il bacio fu breve, a stampo, ma intenso.

Caleb sapeva che non era giusto assecondarla.

Lei aveva il cuore in subbuglio e la mente poco lucida.

Ma non riusciva a staccarsi.

Si limitò a rilassare i muscoli, cercando di non offenderla.

E si baciarono davvero in una terra nemica, mentre erano alla ricerca di un loro amico, sotto un cielo freddo, che non trasmetteva niente. In un tempo che non apparteneva loro, ma ad altri.

A Tom.

Che, per colpa loro, era in pericolo.

Solo per colpa loro.


Spazio me:

796 parole!! Solo?!?
*schiva i pomodori* sentite, so che non ho aggiornato *schiva il cavolo* ma ero a Venezia *schiva le mele* ehi, ma avete derubato l'Slunga? *schiva un divano volante* e Poltronesofà???

Ero un vacanza, OK, e non potevo aggiornare.

Mi scuso per aver scritto poco, ma è un capitolo relativamente poco importante, anche se c'è un bacio (e sto litigando col cell!!) ma spero vi piaccia.

Angy

OCCHI DI DIAMANTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora